Quando stamattina ho letto su Corriere l’elogio sperticato che Aldo Grasso faceva della Scimmia mi sono augurato, fino all’ultimo, che il sottotesto fosse ironico e che ci fosse una stoccata finale. Invece era tutto tremendamente, celebrativamente serio:
“Che follia chiudere La scimmia! Follia non da parte del produttore Valsecchi, che ha avuto l’idea, l’ha ricoperta di entusiasmo, ha coinvolto persone importanti, ha finanziato l’impresa, ma evidentemente, da parte di chi non ha creduto nel progetto”.
Già qui non capisco se Grasso ci sia o ci faccia. Perché si dà il caso che La scimmia l’abbia chiusa, ufficialmente, proprio Valsecchi. Allora o il critico sa una verità a noi sconosciuta, oppure difende l’indifendibile. Per giunta accanendosi contro il pubblico come mai prima d’ora, pur di difendere il programma:
“Internet mostrava gli aspetti più interessanti ma ha ancora non ha i numeri e gli spot della tv generalista. A volte, però, bisognerebbe avere il coraggio di andare oltre i dati d’ascolto. La Scimmia era il programma più innovativo della stagione, il più coraggioso, il primo esempio di Mediaset Educational. Era la faccia buona e intelligente del Grande Fratello. Forse l’idea di questa scuola recupero era da Rai, da servizio pubblico, forse era da Sky, che almeno crede in ciò che manda in onda. Sta di fatto che ogni volta che si tenta una via nuova, il senso comune trionfa. Per fortuna Valsecchi ha deciso di non abbandonare i ragazzi al loro destino”.
Innanzitutto mi chiedo che programma abbia visto Grasso. Perché il critico si trincera dietro le belle lezioni di filosofia di Camurri (che però insegna educazione civica) o dietro le incursioni illuminate di Walter Siti. Contenuti nascosti sul web, mentre su Italia1 io ho visto Camurri travestito da Napoleone e Siti che da preside perdonava il bel Alejandro, nonostante avesse preso in giro tutti perché non aveva mai finito il quarto anno (e, nonostante questo, ha avuto il permesso di fare quarto e quinto anno insieme).
Ma poi cosa vuole essere quest’articolo di Grasso? Un comunicato stampa mascherato? Un editoriale dietrologico? Perché, ripeto, Grasso rinfaccia a Mediaset di non aver creduto nel progetto, quando il direttore di Italia1 Luca Tiraboschi ha rivelato che avrebbe trasmesso La Scimmia altre due settimane ed è Valsecchi che l’ha chiuso (facendosi condizionare dal basso ascolto).
Ora vorrei ricordare che Taodue è la stessa che ha un sito ufficiale con una rubrica intitolata “Le critiche di Aldo Grasso”. Il critico più temuto di tutti che, guarda caso, solo nei confronti dei prodotti di questo marchio spende parole da diabete mellito. Vi ripropongo uno stralcio delle sue recensioni incorniciate dal sito.
“La serie di Ris è il nostro fiore all’occhiello, l’unica serie che dimostri di aver assorbito la lezione americana, la più vicina nella scrittura e nella realizzazione a CSI. La serie è ancora fortemente in mano a Pietro Valsecchi… questo consente, caso davvero raro nella fiction italiana, di tenere sempre alta la qualità del linguaggio”.
“Distretto di polizia, la serie poliziesca più americana prodotta in Italia”.
“Non era facile per la terza serie de I liceali, prodotta da Taodue, confermare le ottime aspettative costruite nel corso delle stagioni precedenti. La serie resta comunque uno degli esperimenti di fiction italiana più interessanti degli ultimi anni. Non si capisce, però, perché Mediaset mandi in onda la serie quasi a fine scuola e, per giunta, lo stesso giorno delle «Iene» (con cui condivide lo stesso pubblico)”.
“Con Nassirya, in termini linguistici, ancora una volta il marchio Taodue propone una piccola rivoluzione copernicana nell’ambito della nostra fiction. La domanda che a questo punto dovremmo farci è perché il servizio pubblico è così lontano da prodotti simili”.
“Maria Montessori rappresenta una delle prove più riuscite: per vigoria narrativa, per la capacità di suscitare emozioni. A differenza di altre biografie per immagini, questa dimostra finalmente di avere una regia, di reggersi su un solido impianto narrativo”.
“Attacco allo Stato è una miniserie di grande valore… perché è costruita con grande maestria. Riesce a occupare degnaamente quello spazio che un tempo era occupato dal cosiddetto cinema democratico, che è scomparso proprio per essere stato troppo democratico e trasandato nei confronti della scrittura, della forma. Consigliere di far circolare questa fiction in tutte le scuole, senza tanti dibattiti a seguire”.
“L’ultimo padrino fa sua la grande lezione del cinema di genere: guarda alla realtà, ma più ancora guarda ai canoni della scrittura”.
“Il capo dei capi, come tutte le produzioni marchiate Tao due di pietro Valsecchi, ha una marcia in più rispetto alla media italiana; un po’ meno questa volta nella sceneggiatura. A volte troppo ideologica, scontata, prigioniera dello sfiatato canone del cinema democratico (temo che gli sceneggiatori disdegnino non poco le serie americane, o non le conoscano)”.
A parte che Grasso ci deve spiegare come sia riuscito a trovare l’unica critica a Il capo dei capi contraddicendo una sua precedente recensione. Nel senso che non si capisce se gli sceneggiatori Taodue, praticamente quasi sempre gli stessi, siano americanofili o no e se il cinema democratico sia un modello virtuoso o vizioso.
Premesso questo, nessuno qui sta a discutere che le fiction di Valsecchi abbiano davvero una marcia in più e abbiano contribuito ad elevare il livello qualitativo della serialità Mediaset, come quella italiana in genere.
Però, se Aldo Grasso sta a rimpiangere in termini così trionfalistici (anche) il prodotto Taodue più indifendibile, bocciato dal resto della stampa come dal pubblico, io qualche domanda di onestà intellettuale me la faccio. Qualche volta anche le ciambelle di chi non è abituato a perdere (e alle critiche) non escono col buco: ammetterlo non è la fine del mondo.