Leopoldo Gasparotto, Banijay Italia: “Pechino Express è una sfida colossale, ci giochiamo la credibilità”
“Contentissimi di questa edizione di Pechino Express. E i Ferragnez 2 vi stupirà”: l’Head of Programmes di Banijay Italia ci racconta il dietro le quinte di un cult.
Pechino Express si avvia alla conclusione di questa edizione 2023 vissuta lungo ‘La Via delle Indie‘ e lo fa forte di un’ottima reputazione sia tra il pubblico che tra la critica e con numeri che sui 7 giorni non fanno rimpiangere (molto) i tempi della messa in onda Rai. Un format solido, senza dubbio, ma che come tutti i format ha bisogno di essere alimentato da una scrittura attenta e da un casting appetibile per il pubblico. Ma quel che soprattutto ci ha sempre colpito è l’organizzazione che c’è dietro questo programma: 10 coppie in gara, ma soprattutto 120 persone di troupe, tra tecnici, autori, maestranze, service, e una logistica che deve organizzare centinaia di persone su itinerari non proprio turistici per oltre un mese di riprese.
Per capire davvero cosa c’è dietro la macchina di Pechino Express abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con Leopoldo Gasparotto, Head of Programmes di Banijay Italia, multinazionale del format tv che solo per la tv italiana produce sul fronte reality anche L’Isola dei Famosi, ma che ha nel suo portfolio titoli come L’Eredità, il Collegio, Quattro Ristoranti, Little Big Italy, Bake off Italia, Don’t Forget the Lyrics, ma anche Fratelli di Crozza e Piazzapulita; loro anche il reality Summer Job, format originale italiano per Netflix, nonché Dinner Club e The Ferragnez per Prime, a breve online con la sua seconda stagione. Se consideriamo anche le fiction, come Il Paradiso delle Signore, La Sposa, Luce dei tuoi occhi – giusto per citarne alcune -, siamo vicini a una buona metà dell’intrattenimento di punta attualmente in tv. Una holding con 11 case di produzione solo in Italia e 130 nel mondo, ma nella voce di Gasparotto si sente tutta la passione e l’attenzione dell”artigiano’, di chi lavora al prodotto con la cura che si riserva alle proprie creazioni. Perché è vero che il mercato tv è globale, ma la tv continua a essere fatta da persone e l’adattamento/addomesticamento di ogni prodotto è un’opera a sé (che però non sempre riesce ad arte).
L’attenzione, però, è focalizzata su Pechino Express, che resta un gioiellino di racconto: un adventure reality (ma Gasparotto preferisce parlare di Adventure Show) che fin dalla sua prima edizione ha saputo coniugare il meccanismo classico della gara – talvolta anche puntuta e ‘antipatica’ – con la conoscenza di territori e di culture altre – che poi è il richiamo stesso al fascino esotico e un pizzico snob dell’Orient Express, qui ribaltato – con una chiave ironica e sarcastica incarnata da Costantino della Gherardesca, prima come concorrente poi come conduttore: il vero ingrediente speciale di questo viaggio alla scoperta di se stessi e del mondo. Come dicevamo, abbiamo cercato di capire come funziona Pechino Express, come si muove questa macchina gigantesca che peraltro non si vede in scena se non in qualche sparuto fotogramma: avremmo potuto chiacchierare con Leopoldo Gasparotto per ore, per sua sfortuna, e anche per questo lo ringraziamo per questa chiacchierata informale e divertita.
Pechino Express 2023, gli ascolti e il bilancio
Siamo ormai alla fine: il tuo bilancio di questa edizione.
Devo dire che siamo molto contenti (e la voce squilla, con orgoglio, come quella di un padre che snocciola le pagelle dei figli). Noi come produzione, ma devo dire anche Sky: sul piano degli ascolti, questa edizione è andata anche meglio rispetto allo scorso anno, quando abbiamo avuto già riscontri più che positivi, e questa è la prima cosa per la quale siamo contenti. Ma siamo soddisfatti anche perché il programma ha avuto un grande riscontro non solo in termini di ascolti, ma anche di critica. Inoltre c’è stato un grande coinvolgimento sui social e per di più positivo… diciamo che questo è forse uno dei pochi programmi tra quelli che produciamo che non solo mette d’accordo tutti, ma viene considerato come portatore di valori importanti… e non è frequente (e si sorride).
Prima di parlare di valori, però, entro subito nella questione dei numeri: il passaggio da Rai a Sky, da lineare free a ibrido pay, inevitabilmente restituisce numeri molto diversi dal passato…
Certo, se confrontiamo il primo passaggio non può esserci paragone. Ma al dato del primo passaggio, che non può che essere inferiore, su Sky dobbiamo considerare tutto il dato cumulativo dei passaggi nel corso della settimana sui quali Pechino fa numeri strepitosi, ma davvero strepitosi. In più ci sono le repliche su Tv8, rete sulla quale Pechino è stato il programma più visto in assoluto nel 2022. Per darti due numeri, la semifinale della scorsa settimana è stata vista su Sky Uno/+1 e sull’on demand da 433.000 spettatori medi con una share del 2,1%, mentre l’ottava puntata ha ottenuto nei 7 giorni una media di 1.205.000 con un +12% rispetto alla scorsa stagione. Se consideriamo qualche primo dato medio, alla settima puntata (20 aprile, ndr) la media di ascolti solo al giovedì sera era di 428.000 spettatori medi, che comunque fa segnare un +6% sulla scorsa edizione, e nei 7 gg una media di 1.215.000 spettatori medi, per un +11% rispetto allo scorso anno.
Cambia il tipo di consumo, insomma: i tempi si allungano e non è più un ‘one-shot’, in pratica…
Sì. Su Sky Pechino Express ha una vita e una modalità di fruizione molto diversa. Se ci aggiungiamo la comunicazione e la copertura social, sempre molto attenta, di Sky viene da dire che di Pechino Express si parla di più adesso di quanto non accadesse prima. Ha un impatto diverso, più forte; da questo punto è stata una svolta.
Lasciamo da parte il ‘valore’ dell’Auditel e passiamo ad altri valori. Quest’anno un cartello iniziale ribadisce la filosofia ‘valoriale’ di Pechino, col suo invito alla pace, alla condivisione…
Sì, ma questa è una cosa che contraddistingue Pechino sin dalla sua prima edizione, al di là dei conflitti in corso. Io lo seguo fin dalla sua nascita e posso dire che è l’unico programma di intrattenimento leggero, per di più una gara, che veicola valori importanti, anzi che si basa su questo. Il concetto dell’incontro tra diverse culture, lo scambio tra popoli possono sembrare cose retoriche, ma alla fine è su questo che si basa il programma: quando i concorrenti cercano da dormire ed entrano nelle famiglie, condividono cibo e divertimento, esperienze e racconti, beh quella è una cosa che nessun altro programma in Italia ha. E confesso che è la mia parte preferita della puntata…
Siamo in due, allora, perché solitamente è il mio momento ‘lacrima facile’: da questo punto di vista, ogni puntata di Pechino è un pendolo che oscilla tra la ‘spietatezza’ della gara e la dolcezza dell’incontro. E quest’anno la gara sembra essere stata più spietata che mai.
Se c’è un’altra cosa di cui sono contento è che quest’anno abbiamo alzato molto l’asticella sul cast, nel senso che abbiamo coinvolto personaggi molto popolari, molto trasversali, davvero generalisti e con personalità molto forti. Penso a Bastianich, Pellegrini, Colombari, tutti nomi molto conosciuti e amati dal pubblico che hanno però mostrato lati meno conosciuti: il viaggio ha risvegliato lati del loro carattere che il pubblico non conosceva e non parlo solo di quello competitivo, che già magari era noto in Federica, ma quello più intimo, quello del rapporto col marito Matteo o quello tra Martina e il figlio Achille… Ecco, cose che il pubblico televisivo non aveva mai visto. Pechino è sì un viaggio di tanti chilometri, ma è soprattutto un viaggio che fai dentro di te, che ti fa scoprire prima di tutto te stesso e che poi ti fa conoscere gli altri e agli altri.
Concorrenti, conduttori, ironia e Buste Nere
Ecco a proposito di coppie, asticelle e cose mai viste, possiamo dire che con Gli Avvocati avete corso il rischio che tutta la ‘costruzione etica’ venisse spazzata via ‘dai fatti’? Sul fronte della scoperta di altre culture, dello scambio con altri popoli e di tutto quello che ci siamo detti finora, Gli Avvocati non sembrano essere state proprio in ‘sintonia’ con lo spirito del programma. Certe uscite, fuori e dentro ‘la Via delle Indie’, ce le ricordiamo…
Mettiamola così: in ogni competizione che si rispetti, così come in ogni viaggio, c’è sempre quella che potremmo definire ‘la pecora nera’ del gruppo (ma si sente che sorride, anche qui soddisfatto della scelta). Noi cerchiamo sempre di inserire qualche ‘nuova scoperta’, qualche personaggio meno conosciuto al grande pubblico, e il web è senza dubbio una fonte. Gli Avvocati le abbiamo trovate su Instagram, ovviamente, tramite il loro discusso profilo e ci sono piaciute proprio perché controverse, non politically correct. Hanno fatto la loro gara, come tutte le coppie, in grandissima autonomia e sono venute fuori per come sono. Non sono certo le prime concorrenti a non aver fatto nulla per ‘risultare simpatiche’, diciamo così: ogni anno ce n’è almeno una coppia. Il primo esempio che mi viene in mente sono Nikita Pelizon e Helena Prestes, la coppia Italia – Brasile dello scorso anno: sono personaggi dal carattere molto ‘forte’, diciamo così, e a Pechino vieni fuori per quello che sei, così come sei.
Diciamo anche che a tenere la barra dritta in questa oscillazione emotiva, che potrebbe raggiungere vette di retorica inenarrabili, ci pensa l’ironia, che è forse la vera arma segreta dell’edizione italiana di Pechino Express. Il cinismo di Costantino, la sua ironia, il suo sarcasmo, cui si è unita nelle ultime due stagioni la ‘spietatezza’ di Enzo Miccio, aiutano a rendere questo viaggio diverso dagli altri e lontano dalla santificazione del sacrificio e dall’eccesso di retorica a tratti ‘colonialista’ che un certo tipo di racconto potrebbe invece favorire.
Guarda, Pechino ha diversi livelli di lettura e questa doppia anima è sicuramente una delle caratteristiche principali del programma. La lente ironica di Costantino – e da due edizioni anche di Miccio – è quella attraverso la quale vediamo di fatto il programma e sposta il racconto dal piano più culturale e competitivo a quello più leggero, ma non per questo meno profondo, anzi. Ma in Pechino Express la chiave ironica è ovunque: nel montaggio, nella colonna sonora… C’è sempre e serve proprio a stemperare tutta quella parte di grandissima emotività che il viaggio interiore offre, che fa parte della gara stessa per i concorrenti. Ecco queste due anime, quella emotiva e quella ironica, sono sicuramente il marchio di fabbrica del programma, secondo me, e in questa edizione l’ho riscontrato tantissimo (e il suo entusiasmo è trascinante: sembra stia rivivendo tutta l’edizione mentre ne parla).
Torno, però, alla gara e a uno dei turning point decisivi di questa edizione: settima puntata, I Novelli Sposi vengono eliminati dagli Italo-Americani, ma salvati dalla Busta Nera perché la puntata non era eliminatoria. Ecco, c’è un notaio che certifica la busta nera, vero? No, perché è sembrato davvero che ci fosse stata la ‘longa mano’ della scrittura a salvare la sfida dell’anno e una domanda sulla ‘correttezza’ del tutto ce la siamo fatta…
(Ride) Intanto ti dico che anche noi abbiamo tirato un sospiro di sollievo sapendo che quella tappa non era eliminatoria (sorride ricordando lo scampato pericolo). Dunque, la Busta Nera fa parte del meccanismo della gara ed è uno strumento del tutto ‘scientifico’, nel senso che la busta viene sigillata prima della partenza della tappa e viene consegnata alla coppia che ha vinto la tappa, proprio per garantire che non possa essere manomessa da terzi. Non viene mai aperta, scambiata o altro. E’ interesse dei concorrenti stessi che arrivi integra come è stata loro consegnata. Quindi no, non ci sono ‘adattamenti’ a seconda delle esigenze ed è tutto documentato. Del resto in passato è capitato di aver perso protagonisti assoluti del programma in una tappa eliminatoria. Per ribadire, la Busta Nera è uno strumento molto serio, anche perché con Pechino Express noi, come produzione, ci giochiamo tutto, anche e soprattutto la credibilità. E siamo sempre molto attenti a che la regolarità della gara sia garantita.
Come funziona Pechino Express?
“Con Pechino Express ci giochiamo la credibilità”… Cosa vuol dire produrre Pechino Express?
Dal punto di vista produttivo, Pechino Express è una sfida colossale principalmente per un motivo: è l’unico Adventure Show, e preferisco chiamarlo show più che reality, totalmente itinerante. Non dico in esterna, ma in continuo movimento. L’Isola dei Famosi, che rientra nel genere, è un’altra macchina produttiva gigantesca, ma lì hai un campo da gioco limitato; in Pechino Express il campo da gioco è di 4-500 km! Vuol dire che tu ogni giorno metti in strada una carovana di 120 persone, organizzate secondo uno schema complesso, ma molto funzionale. Ci sono le unità di ripresa che seguono i concorrenti e i conduttori, c’è il team creativo che segue la gara e c’è sempre la sicurezza che ci accompagna, perché dobbiamo fare in modo che tutto si svolga in maniera sicura.
Quello che hai in uno studio, qui viaggia…
Esatto. Tutto quello che hai per un talk show in studio, per dire, qui lo hai su un percorso di centinaia di km. Hai un team che segue la gara e uno che la precede, perché la gara è fatta anche di giochi, missioni, sfide, che vanno organizzate per tempo. Vuol dire che una parte del nostro team, fatto di producer, autori, scenografi, sicurezza, operatori di suono e ripresa, devono allestire il set della gara nel punto stabilito e farlo prima che arrivino i concorrenti e in qualsiasi condizione climatica, sempre all’insegna della sicurezza.
E’ un meccanismo che non si ferma mai, dall’inizio alla fine, e si tratta di una quarantina di giorni. Tutto deve funzionare alla perfezione. In più tutto si svolge in zone non facili, in territori complessi, in contesti stranieri, dove non tutto è proprio semplice. Ci avvaliamo della collaborazione di partner locali, bravissimi peraltro: anche per noi è uno scambio quotidiano con le realtà locali. Scopriamo come lavorano, come gestiscono le difficoltà. Anche nella produzione si mettono insieme tante anime diverse, che sono la ricchezza stessa di questo programma.
E allora cerchiamo di capire come funziona: una delle cose belle di Pechino è ‘il trucco c’è, ma non si vede’, nel senso che riesce a dare ottimamente la sensazione che i concorrenti siano davvero ‘soli’. Quante persone, invece, seguono ogni coppia?
Ogni coppia è seguita da una mini-troupe formata da un cameraman, un autore, un local production assistent e un driver che guida un van che segue le coppie. Diciamo che si sono sempre un cameraman e un autore con le coppie di concorrenti, ma quando non c’è posto nell’auto del passaggio, allora l’autore si sposta col van a disposizione. A queste troupe si aggiungono altre unità, come ti dicevo, come quelle che organizzano i giochi e i vari set… E’ tutta una organizzazione pianificata ma ‘estemporanea’, nel senso che sia attiva via via che procede la gara e noi cerchiamo sempre di anticiparla. E ricordiamo anche che la produzione non perde mai, mai, di vista i concorrenti.
Diciamolo che i cameramen sono i veri eroi di Pechino: si portano dietro l’attrezzatura sotto il sole, la pioggia, col caldo, col freddo e riescono a non farsi ‘percepire’…
Sì, è vero, sono i veri eroi! (E sorride, anche qui con un certo orgoglio)
I Conduttori, invece, oltre a non godersi hotel di lusso, come dissero nella conferenza stampa di presentazione, non stanno neanche in panciolle: diciamo che a loro toccano attese anche snervanti ai Libri Rossi o sul Tappeto Rosso…
Esatto! Forse questo si nota meno, ma Pechino è fatto anche di grandi attese. D’altro canto i Conduttori devono ‘correre’ più dei concorrenti: devono arrivare sui vari set molto prima della supposta prima coppia in arrivo. Guarda, io ne seguo tanti di programmi complessi, ma dal punto di vista della macchina organizzativa e logistica Pechino Express non ha eguali.
Quanto ci vuole per organizzare un’edizione? Diciamo che le riprese, come in questo caso, sono durate una quarantina di giorni, ma quanto tempo ci vuole per mettere su la logistica? Penso anche ai visti, ai permessi, a tutta la burocrazia che un progetto del genere richiede.
Diciamo che si inizia 5-6 mesi prima dell’inizio delle riprese con la fase dei sopralluoghi.
Più o meno in questo periodo insomma…
Più o meno in questo periodo sì…Ho capito dove vuoi arrivare, ma per adesso bocche cucite (e sorride, con un’espressione che immagino sorniona). Tornando all’organizzazione, in genere si concorda una rotta con broadcaster e si procede poi con sopralluoghi estremamente, estremamente, dettagliati. Andiamo sul territorio, percorriamo tutta la tappa ipotizzata per i concorrenti, col risultato che il sopralluogo dura di fatto quanto le riprese che saranno poi fatte con le coppie, anzi qualcosa di più: diciamo che il sopralluogo prende almeno un mese e mezzo/due. Da qui scriviamo la bibbia del programma e su questo organizziamo la logistica necessaria per tutto il percorso. In pratica lavoriamo a ciclo continuo.
Come funziona il casting?
Le coppie vengono immaginate in funzione del percorso o il casting avviene a prescindere?
In generale il casting lo immaginiamo a prescindere dalla rotta: in fondo le caratteristiche che cerchiamo nelle coppie prescindono dal percorso. Capita, però, che si debba rinunciare a qualche idea e a qualche nome proprio a ‘causa’ del percorso: una delle regole che ci diamo, ad esempio, è che non ci siano concorrenti troppo avvantaggiati e così escludiamo coppie che parlino le lingue locali. Un paio di anni fa, ad esempio, decidemmo di non ‘arruolare’ concorrenti che parlassero arabo. E’ l’unico caso in cui il percorso può condizionare la scelta del concorrenti.
Però sulla Via delle Indie gli Italo-Americani se la sono cavata più facilmente di altri, vista la gran diffusione dell’inglese, lingua del fu paese colonizzatore…
Magari in India sì, ma già in Borneo diciamo che era meno utile (e si sorride al pensiero di Joe e Andrea che cercano di comunicare senza inglese…)
Da pressbook ho letto che avete prodotto circa 40 Terabyte di girato totale. Praticamente potreste riempirci un palinsesto, ma poi da quel materiale bisogna estrapolare un po’ ‘sempre le stesse cose’: l’autostop, le sfide, la ricerca di un alloggio, la notte, gli arrivi… il tutto a fronte di una quantità infinita di girato. La sensazione è che ci sia tanto materiale ‘sacrificato’ per rispettare il format…
Ci sono due considerazioni da fare in questo senso: la prima ha a che fare col programma stesso. Rispetto a programmi similari, in Pechino Express i concorrenti vivono una esperienza pienamente immersiva e no-stop; se non ci fossero le telecamere loro farebbero esattamente le stesse cose, nel senso che la troupe non li aiuta mai, in niente. Molti, se non tutti, partono con la convinzione che poi tanto ci siamo noi ad aiutarli, a sistemarli, a metterli comodi: quando poi capiscono che tocca fare tutto a loro ne sono proprio scioccati! (Sorride, anche con un pizzico di ‘cazzimma’ secondo me). Con un tipo di esperienza di questo genere, a 360°, anche le telecamere devono lavorare senza fermarsi mai. Da una parte perché devi restituire questa esperienza immersiva, dall’altro perché tu non sai mai cosa sta per succedere, dove si nasconde il colpo di scena, l’imprevisto, la sorpresa, la meraviglia. La bellezza di Pechino è proprio questa, che tu organizzi tutto minuziosamente e poi le cose più belle sono quelle che non hai previsto.
Dunque, questa dimensione immersiva e imprevedibile dell’esperienza è la prima considerazione da fare sul fronte del girato. E la seconda?
La seconda considerazione è che in questi programmi il rapporto tra montaggio e girato è sempre ‘in perdita’, diciamo così. Per arrivare dal diamante grezzo a quello puro inevitabilmente perdi materiale, comunque butti qualcosa. Ma posso dire che quello che va in onda è sempre il meglio del meglio che c’è. Non ci è mai capitato di scartare delle cose fortissime, quello no. Magari ci capita di scartare qualcosa di carino, ma tutto quello che di fortissimo c’è poi alla fine va in onda. E’ nella natura stessa di questo genere di programmi L’alternativa in questi casi, e qualche programma lo fa, sarebbe quella di aggiustare un po’ la realtà, no? Recuperi certe cose, le metti un po’ in scena e così la recuperi… Noi a Pechino Express non lo facciamo: il programma restituisce questa sensazione di verità, di bellezza, di realismo totale perché noi abbiamo le telecamere sempre accese.
Ma vedremo mai una puntata speciale dedicata al backstage? Due ore di dietro le quinte? O avete paura di spezzare, così, la meraviglia?
Direi che ti sei risposta da sola (ride). Intanto un po’ di backstage è stato fatto con del contenuti social e considera che ogni anno abbiamo un ‘embedded’ che segue tutta la produzione e realizza contenuti per i social e un po’ di backstage. Ma la cosa bella di Pechino Express, secondo me, è proprio la sensazione che il pubblico ha di trovarsi sempre accanto alle coppie: non vedi altro se non i concorrenti, i luoghi, le prove… le sovrastrutture le percepisci pochissimo. Non esistono set: il set è l’India, sono i paesi che attraversiamo. Ecco, per me il backstage su programmi come Pechino ha poco senso.
Però, un’occhiatina alla produzione…
Guarda, posso dirti che la produzione di Pechino si fa in due luoghi: gli hotel e i van. Basta! (E ride) La produzione vive praticamente su delle ‘scialuppe’ in funzione della gara. Ma tutto quello che vedi ripreso dalle telecamere è quello che succede nella realtà, il tutto con molta incertezza e anche con molta elasticità per star dietro a quel che avviene: ed è la cosa bella del programma.
Ma c’è stato mai un momento in cui avete pensato “A ‘sto giro non la sfanghiamo”? Qualche prova, qualche percorso, qualche edizione che vi ha messo particolarmente in difficoltà?
Come edizione ti direi sicuramente la prima: era il 2012 e nessuno sapeva con esattezza cosa ‘stavamo facendo’ e come sarebbe andata a finire. Peraltro avevamo iniziato dal nord dell’India, con temperature allucinanti. Quella prima puntata è stata un battesimo del fuoco, per tutti. L’altro anno un po’ complicato è stato quello subito dopo la Pandemia, che abbiamo fatto in Turchia: abbiamo fatto i sopralluoghi a singhiozzo, aspettando che dessero il via libera per viaggiare, abbiamo buttato via interi sopralluoghi perché le condizioni poi non sono state più agevoli, abbiamo dovuto rimandare le riprese… insomma è stata dura. Ma diciamo che la macchina organizzativa è ben oliata e riusciamo ormai a far fronte a qualsiasi cosa…
Siete stati in Estremo Oriente, un po’ nel Medio Oriente, in Sudamerica e in CentroAmerica, avete offerto un assaggio dell’Africa settentrionale: cosa vi manca? Dove vorreste andare?
Ci piacerebbe trovare qualche itinerario inedito e ce ne sono da fare, ma io penso che il ‘vero’ Pechino Express guardi più a Oriente che a Occidente e per varie ragioni. Intanto perché lo shock culturale e linguistico è maggiore: in Occidente riesci a riconoscere codici culturali e di comportamento, hai più dimestichezza anche con le lingue. Quando penso all’Oriente non intendo solo l’Estremo Oriente, anche se il Giappone è stato finora forse il più ‘scioccante’ culturalmente: abbiamo fatto solo due puntate in Giappone, anche perché, diciamocelo, è piuttosto caro…
Magari un giorno ci si potrà avvicinare alle ex repubbliche Sovietiche, alle zone più impervie e culturalmente estreme del Medio Oriente, ma diciamo che non ci sono proprio le richieste esigenze di sicurezza. E poi, ovviamente, c’è la Cina…
Finora in Cina ci siamo stati due volte, ma non possiamo dire di averla fatta tutta: è come un continente, è come l’Europa e due percorsi non bastano certo a esaurirla. Abbiamo fatto due edizioni finora, ma in zone completamente diverse dire siamo andati in due territori che erano completamente diversi. Magari ci torneremo, ma ci sono ancora dei Paesi che non abbiamo toccato e ci piacerebbe fare una rotta su paesi mai visitati.
Dopo Pechino Express arriva I Ferragnez 2…
Si apre quindi il toto-scommesse per il percorso di un’eventuale prossima edizione, dunque. Ma se questa sera si conclude il viaggio di Pechino Express, a breve ne inizieranno altri, e di diverso tenore, tipo quello dei Ferragnez. Ecco, io provo a fare una domanda incredibilmente superficiale, per la quale, però, non basterebbe una tre giorni di convegni… Voi producete per tutti i tipi di tv, dai broadcaster tradizionali, lineari, generalisti e free, alle reti tematiche, alle OTT: come cambia la produzione da una lineare a una OTT? Come cambia il modo di pensare a un prodotto a seconda della fruizione, della distribuzione? Diciamo che noi magari siamo abituati a pensare a mercato piccolo come quello italiano, ma la sfida è sempre più quella di pensare e produrre per un mercato globale…
Allora, quel che cambia sicuramente è il modo di fruizione: quando produci per una OTT pensi al modo in cui verrà fruita e quindi lavori su episodi più corti, sulla ‘digeribilità’ del binge watching; ovviamente cambia il, e pensi al, target di riferimento che cambia rispetto alla tv lineare. Su alcune tipologie di programmi, poi, a livello produttivo hai qualche vincolo in meno e puoi spaziare un po’ di più. Sono questi i parametri che influenzano di più. Noi finora per le OTT abbiamo prodotto I Ferragnez e Dinner Club che sono due prodotti molto diversi l’uno dall’altro ma hanno fatto molto parlare di sé.
Ecco, in effetti neanche il tempo di finire Pechino che arriva la seconda stagione di I Ferragnez, su Prime Video dal 18 maggio, anche se furbamente avete lasciato l’esperienza di Sanremo 2023 a uno speciale che vedremo dopo l’estate. La modalità ‘rilascio ritardato’ è cattiveria su una piattaforma OTT, diciamocelo…
Io posso dire solo una cosa: se siete stati fan della prima, la seconda stagione de I Ferragnez vi stupirà!
E mi sa che ne riparleremo (e anche di Dinner Club…). Intanto ringraziamo davvero di cuore Leopoldo Gasparotto: ascoltarlo mentre racconta con entusiasmo e passione le gesta delle ‘sue creature’ rimette davvero in pace con la tv.