Techetechetè ricorda Paolo Rossi nel giorno della sua scomparsa con una puntata speciale, andata in onda su Rai 1 nell’access prime time di questo giovedì 10 dicembre (e recuperabile su Raiplay): un appuntamento firmato da Massimiliano Canè che ha lasciato buona parte del suo spazio a un’intervista di Gianni Minà a Paolo Rossi. Ed è stato un regalo al pubblico, non solo un omaggio alla memoria di un campione.
Gianni Minà che racconta lo sport è un patrimonio che i più giovani misconoscono, nella migliore delle ipotesi; nella peggiore lo ignorano. Per molti il racconto dello sport in tv è Federico Buffa, con la sua prosodia cavalcante, la grafica accattivante, i giochi di parole, i tormentoni retorici, la costruzione narrativa che strizza l’occhio alla serialità e alla letteratura. Con Buffa e con la sua (ormai quasi) infinita produzione si guarda più a Soriano e agli aspetti ‘teatrali’ del racconto che al protagonista: l’esatto contrario del giornalista Minà. Indipendentemente dalla loro durata o dalla loro funzione, le interviste di Minà hanno sempre avuto lo spessore di un reportage, la profondità della linearità, della domanda diretta, apparentemente semplice, ma capace di risvolti inattesi. E poi il tempo concesso alle risposte, non soffocate neanche dal montaggio, la disponibilità all’imperfezione che però diventa perfezione del racconto. Penso al lungo estratto dell’intervista a Paolo Rossi fatta nel salotto di casa, con la tv accesa e l’audio dei cartoni animati che il figlio stava vedendo che entra nel microfono: la quintessenza della quotidianità, della ‘domesticità’, massimo segno della disponibilità al colloquio da entrambe le parti. Oggi sarebbe impensabile. Quel materiale è tratto (salvo errori e nel caso sono pronta alla correzione) da una puntata di Una Vita da Goal, un ciclo di approfondimenti dedicati a grandi protagonisti del calcio realizzato nel 1986. Sono passati 34 anni ed è straordinariamente attuale per stile e capacità di racconto. Peccato che oggi una cosa del genere difficilmente troverebbe spazio sulla nostra tv per stile, ritmo, contenuti, ma non perché sia ‘invecchiata’ male, anzi. A peggiorare e invecchiare male è stato un certo tipo di tv e di giornalismo. E poi oggi è difficile trovare qualcuno che si metta davvero al servizio del protagonista, che scompaia dalla scena, che si dedichi all’intervistato e non a se stesso, compiacendosene.
Questa lunga intervista è un documento importante per raccontare quel Pablito ormai maturo, passato per la gogna della squalifica per il calcio-scommesse, diventato l’eroe del Mondiale 1982, ma che appare qui con un sorriso tirato, diverso da quello che avevamo conosciuto in campo. Uno spaccato anche di vita familiare, che lo immortala accanto alla prima moglie Simonetta e col piccolo Alessandro che gira per casa e guarda la tv. La semplicità di una storia complicata, di un personaggio sfaccettato, di un talento lucidamente consapevole dei propri limiti: un dialogo tra signori.
Techetechetè dedicato a “Pablito, la leggenda” si rivela quindi un regalo per il pubblico prima ancora che un ricordo per Paolo Rossi, come già detto. Merito all’abilità di Canè che lascia a questa intervista tutto il tempo di cui ha bisogno (nei limiti dati dal format e dal suo codice). Non si ha fretta di tagliare, alternare, connotare: si lascia che Gianni Minà racconti Paolo Rossi e si lascia al pubblico l’esempio dei maestri. Una scelta di alta classe…