One Trillion Dollars, Alessandra Mastronardi a TvBlog: “Non bastano i soldi per salvare il mondo. Oggi serve un cambiamento culturale, siamo tutti coinvolti”
L’attrice fa parte di un cast internazionale ed interpreta Franca: “Mi sono divertita”, ci ha detto, “le piattaforme ci hanno dato una nuova libertà”
Ci abbiamo pensato tutti almeno una volta nella vita: cosa faremmo che scoprissimo di essere gli unici ereditieri di una grossa somma di denaro? Una fantasia che al protagonista della nuova serie tv One Trillion Dollars capita per davvero: il tedesco John (Philip Froissant), corriere a Berlino, scopre di aver ereditato mille miliardi di dollari da un suo lontanissimo discendente. Ma dietro questa eredità c’è una profezia, che lo vede direttamente coinvolto nel tentativo di salvare il mondo.
La serie in sei episodi disponibile su Paramount+ a partire dal 23 novembre 2023 è tratta dall’omonimo thriller di Andreas Eschbach e può vantare un cast internazionale, tra cui figurano anche tre italiani: Greta Scacchi, Orso Maria Guerrini, Stefano Casetti ed Alessandra Mastronardi.
“Franca è stato un personaggio molto interessante da interpretare”, ci ha raccontato Mastronardi nella video intervista che potete vedere in alto. “Nel primo episodio quasi pensi di aver capito che lei sia un’assistente, una persona che lavora dietro le quinte. In realtà no, è protagonista assoluta di questa vicenda, è colei che poi piano piano diventerà sempre più importante nella vita di John, quasi da affiancarlo, soprattutto nelle decisioni amministrative. Sembra un personaggio austero all’inizio, molto rigido: noi ci abbiamo giocato anche con l’accento, ne ha uno più inglese rispetto all’accento americano di chi parla in inglese nella serie. Il suo cambiamento lo si nota anche con l’abbigliamento, abbastanza austero all’inizio, quando siamo in Italia, ma poi cambia quando siamo a Berlino. È stato divertente”.
La serie parte dalla fatidica domanda “Cosa faresti se ereditassi una grossa somma di denaro?”, ma poi cresce e cambia tono…
“Sì, è una serie in divenire, in crescendo. Inizia in modo molto soft, racconta dove siamo, chi siamo, come siamo arrivati lì… Poi ha un colpo di scena, perché ovviamente il nostro protagonista non rimane anonimo: il suo nome esce allo scoperto. Non solo, ma per salvare l’umanità, che è quello che sarebbe il suo teorico scopo, entra in finanza, nel mondo della borsa, creando la Fontanelli Brand. E da lì ci sono persone brutte e cattive che non vogliono assolutamente che lui sia là, ne succede di ogni… Ogni puntata ha un ritmo diverso: a me è piaciuto molto lavorare a questa serie anche per questo motivo: ogni volta che finivo di leggere una sceneggiatura volevo sapere che cosa succedeva nell’episodio successivo. Quindi sono curiosa anch’io di vederla tutta quanta, la sto seguendo adesso, da spettatrice”.
Anche la tua Franca cambia già nei primi episodi: è un personaggio differente che quelli che hai interpretato in passato, cosa le hai dato di tuo e cosa lei ti ha lasciato?
“È sempre difficile capire cosa hai dato a dei personaggi di tuo quando ti piacciono, ti rimangono, con cui giochi. Perché è uno scambio continuo, reciproco: io non lo so dove arrivo io e dove arriva lei, cosa farei io e cosa farebbe lei, perché sono io, sono comunque sempre io. E quindi è divertente entrare nella vita di una donna così forte, così esperta di finanza, ma io non so veramente neanche compilare un F24!”
La serie ruota intorno ad un’eredità e ad una profezia per cui quei soldi dovrebbero servire a salvare il mondo da un futuro in cui sembra essere spacciato. Ma davvero i soldi, secondo te, sono l’unica chiave per migliorare il futuro del nostro pianeta?
“Nella serie noi non diciamo che i soldi sono l’unica cosa che salvano il mondo, assolutamente no. Andando avanti con gli episodi ti rendi conto che soltanto John, per come è lui, riesce ad approcciare a un cambiamento, a portare a termine un processo o quantomeno a iniziarlo. Non è scontato che una grossa somma di denaro ti possa aiutare a cambiare, perché poi dipenda da chi ce li ha. E John è perfetto, perché come dice Franca, lui è una persona così pura, semplice… Qualcun altro avrebbe speso questi soldi in modo diverso. Quindi non è scontato che tanti soldi possono aiutarla aiutare l’umanità e io non credo che servano o che bastino solo quelli”.
One Trillion Dollars è una produzione originale Paramount+. Probabilmente fino a qualche anno fa una serie di questo tipo, con un cast internazionale e girata in vari Paesi (tra cui l’Italia) sarebbe stata difficile da realizzare, mentre ora con le piattaforme sembra più semplice…
“Sicuramente le piattaforme hanno dato una libertà che prima non c’era, ma danno questa libertà perché c’è la possibilità di parlare a un pubblico più vasto e quindi di creare un interesse con un pubblico diverso, più eterogeneo e non soltanto in questo caso italiano o tedesco; si aprono le porte al mondo. Sicuramente le piattaforme hanno dato la possibilità di sperimentare anche generi diversi… Ben venga, grazie a questo processo si insegna al pubblico anche ad avere gusti diversi o a vedere le differenze tra i vari Paesi”.
La vastità del pubblico potenziale di una serie tv oggi permette anche di veicolare importanti messaggi: è da poco passata la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, e vorrei da te una riflessione su come il mondo dell’intrattenimento possa contribuire a fare sensibilizzazione su questo tema…
“La televisione ha un ruolo fondamentale e prima ancora il teatro: entrambi sono nati non per intrattenere ma per insegnare. All’inizio avevano un altro tipo di scopo, poi è diventato intrattenimento perché hanno fatto un passo indietro nel voler insegnare. Ma questo mondo, e tutti coloro che hanno una piattaforma su cui parlare, hanno un’enorme responsabilità. È ovvio che se in un programma televisivo il corpo di una donna diventa e rimane purtroppo un oggetto non è che il messaggio cambia… Se poi le istituzioni dicono di voler insegnare nelle scuole l’economia sentimentale le cose non cambiano, se non cambia prima il messaggio di queste piattaforme. Ci deve essere un cambiamento culturale che viene da tutti. Si chiama rivoluzione per questo: perché coinvolge tutti i campi, non soltanto uno. Certo, da qualche parte dobbiamo cominciare, però siamo coinvolti tutti”.