Ode a Funari (che ha saputo rischiare)
Il countdown dell’Apocalisse è stato smorzato prima del tempo, da quel mostro di nome auditel che tutto divora. Ed è così che un varietà creato allo scopo di esorcizzare il male di vivere si è tramutato prima del tempo in una prece del suo sacerdote propiziatore. In quest’occasione, mettendo da parte l’abituale cinismo scagliato contro
Il countdown dell’Apocalisse è stato smorzato prima del tempo, da quel mostro di nome auditel che tutto divora. Ed è così che un varietà creato allo scopo di esorcizzare il male di vivere si è tramutato prima del tempo in una prece del suo sacerdote propiziatore.
In quest’occasione, mettendo da parte l’abituale cinismo scagliato contro pretenziosi conduttori e sopravvalutati predicatori, ci vorrebbe un attimo di raccoglimento intorno al Gianfranco Funari uomo.
Alla veneranda età della pensione inoltrata, l’incontenibile patriarca dell’opinione catodica ha deciso di rischiare ancora, indubbiamente con un lauto cachet come indennizzo spese ma al tempo stesso con un prezzo da pagare irrisarcibile: la reputazione.
Funari, ritorno economico e di immagine a parte, si è caricato sulle spalle la gatta da pelare da cui in troppi si erano ben guardati. Perchè, si sa, un sabato sera rimediato in bassa stagione, con l’esodo televisivo alle porte, porterebbe sfiga a chiunque se non sei Fiorello o Celentano.
Il giovane vecchio della radio, in particolare, ha pensato bene di infinocchiarci tutti con le sue scaltre scorribande, sintomo dell’ipocrisia di chi rifugge dal video ma non può farne a meno per continuare ad autopromoversi e autocelebrarsi (i veri artisti di teatro, come Loretta Goggi, Mariangela Melato o Gigi Proietti, sono sicuramente più onesti con se stessi e il loro pubblico nella loro coerente riservatezza).
E non si è comportato da meno Roberto Benigni, che stando alla presentazione dei palinsesti della scorsa estate avrebbe dovuto finalmente risollevare le sorti della tv generalista con il connubio comicità-cultura. Eppure anche lui preferisce irridere la tv giovandosi dello strumentale effetto fast-food, presenziarci quel tanto che richiede la marketta del suo ultimo film/spettacolo, non arricchire la qualità dei palinsesti più del suo portafogli (perchè con la tournee tutto esaurito si va sul sicuro guadagnando anche bene).
A filarsela dalle lusinghe di Del Noce prima di rimediarci l’ennesima fregatura sono stati, tra gli altri, Teo Teocoli in versione one man show, che tra tira e molla aziendali deve averci ripensato, e Pippo Baudo, recalcitrante al varietà in prima serata per le cicatrici lasciate dal suo Sabato Italiano.
A quei tempi i postumi dell’icona nazionalpopolare di una volta, così disarmata e nostalgica nella copia sbiadita di se stessa, ci facevano tenerezza proprio come il Funari geriatrico adesso. SuperPippo appariva come il classico vecchietto un po’ attempato, esiliato dal lavoro che era tutta la sua vita e pronto a rispondere alla prima chiamata pur di tornare in pista. E furono subito dolori, che servirono a Baudo per ritemprarsi e trovare la carica battagliera apparentemente perduta. Nel caso di Funari le cose sono un po’ diverse. Il suo non era un semplice ritorno sulle reti Rai, ma una conquista, il raggiungimento di un traguardo professionale che avrebbe chiuso la sua carriera in bellezza, con la definitiva consacrazione sull’ammiraglia.
D’accordo, non era il Gianfranco sanguigno quello che abbiamo visto all’azione, ma un simulacro addomesticato e irretito nelle reti del machiavellico Cugia, ispirato da un disegno scenico che rasenta ormai l’autismo, l’iterazione ossessiva, il vacuo esistenzialimo. Eppure, se la gente ha cambiato canale fin da subito non soddisfando quantomeno l’effetto curiosità, vuol dire che è di per sè Funari che non fa notizia, non desta attese, ha fatto il suo tempo.
E’ per questo nefasto bilancio, che nessuna correzione in corsa potrà cancellare, che il signore in questione merita tutto il nostro affetto e una sanzione devozionale particolare, perchè non sono i numeri a farci dimenticare chi è stato.
Perdonateci i toni da coccodrillo anzitempo, ma in fondo quel che la stampa e la stessa Arena di Giletti hanno già iniziato a celebrare, nel solito gioco delle parti che rende migliore chi ne parla di chi si mette personalmente in discussione, è il funerale mediatico di Gianfranco Funari.
E il sottoscritto non ci sta, visto che una sentenza così inclemente non è che l’inizio della vera Apocalisse per chi ama la televisione. Sarà che ci meritiamo proprio questo, essere abbandonati dai migliori per rimanere nelle grinfie di Raccomandati e Treni di desideri. Eppure Apocalisciò, come lo chiama biascicando Funari, poteva essere l’inizio di un qualcosa che è stato interrotto. Forse dalla par condicio, forse dal sadismo di Del Noce che nell’inconscio ci gode al tramonto dei grandi per investire sull’anonimato. Forse dalla Corrida che, resistendo da decenni all’usura del tempo, è la parabola di ciò che la gente si aspetta dal sabato del villaggio globale. La totale assenza di pretese, in tv come nella vita.