Ode a chi rifugge dalla vetrina
Un mondo in vetrina. Il messaggio che la televisione ci trasmette ogni giorno di più. Una lusinga, quella dell’esibizione pubblica, che contagia proprio tutti e nelle più disparate forme. Se non ci sei non esisti. Un must, quello in questione, che è diventato oggigiorno appannaggio di una nuova categoria, pronta a destreggiarsi tra saranno famosi
Un mondo in vetrina. Il messaggio che la televisione ci trasmette ogni giorno di più. Una lusinga, quella dell’esibizione pubblica, che contagia proprio tutti e nelle più disparate forme. Se non ci sei non esisti.
Un must, quello in questione, che è diventato oggigiorno appannaggio di una nuova categoria, pronta a destreggiarsi tra saranno famosi e starlet da strapazzo per promuovere la propria identità mediatica: quella di opinion maker.
Che è molto più dell’opinionista a basso costo o del duellante ingaggiato per rissa. L’opinion maker è colui che attraverso la visibilità della propria immagine si propone una missione ben precisa: quella di condizionare con le proprie idee o comportamenti l’opinione pubblica.
Pensate all’ultimo Ring di Buona Domenica, falsamente sottrattosi al giro dei soliti trash-noti per puntare sulla qualità di un parterre selezionato. A comporlo per la quasi totalità, se omettiamo quella buontempona di Iva Zanicchi prestatasi per simpatia, un’elite di presunti addetti ai lavori chiamati a illuminare la buona coscienza del telespettatore. C’è chi lo fa con amor di battuta, rischiando talvolta di spacciarsi per un comico mancato. Chi ricorre al miele della filosofia e, dopo anni di incoercibile fedeltà al servizio pubblico, svende la propria dialettica al banchetto domenicale della tv commerciale (roba da rivoltare le viscere).
Chi fa l’interlocutrice concettuale a mo’ della compagna di studio del pomeridiano prandiale, ostentando un’indiscussa militanza giornalistica via via offuscata dall’inflazione.
Ognuno di questi nobili esperti della parola, tolto dal contesto di autoreferenzialità in cui sguazza in tv, avrebbe spirito critico e credibilità da vendere. L’appeal intellettuale che è in grado di rivendicare meriterebbe sacrosanto rispetto. E invece basta inchinarsi alla padrona (di casa) di turno (che peraltro minaccia l’esilio dallo studio in caso di critiche rivoltele) per rinunciare al pungolo del contradditorio, sollevando più che condivisibili perplessità in un pubblico affatto acritico.
Bastano le minacce di Paola Perego a non tacciare la propria tv di volgarità ad addomesticare Stefano Zecchi? Sono sufficienti le direttive di Lele Mora per aizzare Alessandro Rostagno ad alter ego snob di Platinette?
E’ così indispensabile per la Falcetti gettarsi nella dannata mischia?
I gettoni di presenza sono un tributo adeguato al silenzio delle coscienze?
Personaggi tutti stimabili che finiscono di aver bisogno di una vetrina, seppur nelle vesti di accusatori, per sancire il proprio statuto televisivo. Tant’è che, nonostante abbiano finto tutto il tempo di non aver nulla a che spartire con una Silvia Rocca qualsiasi, hai quasi il sospetto che dietro le quinte abbiano preso insieme un caffè.
Per fortuna, dietro questa “sputtanata” categoria ce n’è un’altra che agisce in incognito. Quella che dà l’appuntamento ai fedelissimi sui giornali. Con le sue staffilate, gli editoriali e al massimo qualche rubrica multimediale. Quelli che meritano un plauso per essersi sottratti allo svilente meccanismo del presenzialismo. Quelli che, alla fine, sono i più stimati e rispettati perchè ne riconosci l’indiscussa professionalità.
Proprio perchè non amano autocompiacersi e fanno il proprio lavoro con umiltà e fedeltà alla carta stampata, perchè sanno che lì si misura la loro credibilità, lascio a voi fare i nomi.
E continuo ad essere del parere che chi meno appare più vale.