Non Uccidere, Raitre fa centro e porta in Rai una fiction dal sapore britannico
Non Uccidere s’ispira alle produzioni inglesi per ritmo e scrittura, e riesce ad essere alla loro altezza, con un racconto che non si limita a risolvere il caso
Ci voleva Raitre per dare alla Rai una fiction che fosse davvero competitiva con le produzioni europee che corrono contro i colossi che arrivano dall’America: Non Uccidere, oltre che segnare il ritorno della fiction sul terzo canale della tv di Stato, ci mostra come si possa prendere ispirazione senza però fare una scopiazzatura imbarazzante.
A ben vedere, l’idea di Non Uccidere non è di per sè innovativa: un giovane ispettore (Miriam Leone) indaga sui casi più vari mentre la madre (Monica Guerritore), uscita dal carcere per aver ucciso suo padre, cerca di riallacciare i rapporti. C’è una trama verticale ed una orizzontale, come tutti i polizieschi degli ultimi anni.
Ciò che permette al pubblico di restare incuriosito dalla fiction, però, non è tanto la scrittura del caso e le indagini a riguardo, ma la scrittura dei personaggi, sia i protagonisti che i comprimari di puntata: l’intenzione è quella di scrivere storyline che non si concentrino solo su una direzione, quella del mistero da risolvere, ma che si dipanino lungo un piano di toni e tematiche legate sempre al caso di cronaca ma da diverse angolazioni: il bambino che dice una bugia per farsi notare dalla ragazzina che gli piace, il padre della vittima che torna a lavorare, i parenti dei genitori della ragazza accusati di non aver detto tutto quello che sapevano.
Se per la fiction italiana, in cui non si osa seguire più di una linea narrativa, è quasi una novità, per la serialità internazionale, è la norma. E Non Uccidere, in particolare, vuole fare proprio il sapore di quei polizieschi inglesi che, nel rallentamento del ritmo e nell’introspezione dei personaggi hanno trovato il loro successo. Serie tv come The Fall o Broadchurch non stupiscono per velocità del racconto, ma per come i suoi personaggi vengono raccontati dentro e fuori le indagini.
L’attinenza ai casi realmente accaduti, tanto sbandierata (quanto improbabile) in altre fiction, qui ha una cura particolare, al punto che gli autori non si fanno problemi non solo nel prendere spunto da uno dei casi più noti della cronaca italiana degli ultimi anni, quello di Sarah Scazzi, ma anche nel volgere un messaggio di accusa alla tv che entra nelle indagini e ne diventa protagonista. La cold opening della puntata, in cui il conduttore di una trasmissione di approfondimento di cronaca (Bebo Storti) rivela al padre della ragazza scomparsa che ne è stato trovato il corpo rimanda senza dubbio al caso di Chi l’ha visto che, nel 2010, annunciò in diretta alla madre di Sarah Scazzi il ritrovamento del corpo della ragazza. Il tutto, però, senza scimmiottare o senza essere troppo moralisti, ma dando il via alla trama.
Se a Raiuno viene quasi spontaneo non riuscire ad essere all’altezza di un linguaggio contemporaneo, a Raitre, evidentemente più libera nelle sperimentazioni (fino a mettere un sottotitolo “La serie”, quasi a rubarne l’esclusiva a Sky), è stata concessa una libertà narrativa più al passo con i tempi: vedere i messaggini sui cellulari dei personaggi comparire in sovraimpressione invece che sul telefonino con voce fuori campo che li annuncia è una novità per la nostra tv.
Brava Raitre, quindi: è riuscita laddove Raiuno tenta e ritenta da anni invano: dimostra che non solo la pay tv è capace di tirare fuori dal cilindro racconti forti e ben recitati, ma anche la Rai, se s’impegna e, soprattutto, non si fa assalire dall’ansia del dover piacere al grande pubblico.