Non è solo un paradosso: la tv in Italia ha bisogno di una vera rivoluzione, non ci sono dubbi (1)
Vorrei aggiungere qualcosa al precedente post intitolato “La Rai dà i numeri”. Vorrei spiegare meglio il malessere che tocca non soltanto la Rai ma tutto il sistema televisivo italiano. Un corsa, non posso fare altro, a causa dello spazio di un post come questo, forse troppo ambizioso ma non presentuoso. Una corsa di impressioni mescolate
Vorrei aggiungere qualcosa al precedente post intitolato “La Rai dà i numeri”. Vorrei spiegare meglio il malessere che tocca non soltanto la Rai ma tutto il sistema televisivo italiano.
Un corsa, non posso fare altro, a causa dello spazio di un post come questo, forse troppo ambizioso ma non presentuoso.
Una corsa di impressioni mescolate agli spunti che vengono offerti dalla tastiera sempre più dilatata dei nostri telecomandi. Dalle reti generaliste, le reti nate e impaludate nel digitale terrestre, alle reti satellitare, al cuneo Sky che continua a macinare i suoi giorni in correzioni e iniziative dovute alla ferrea necessità di incremenatare la via lattea dei suoi abbonati.
Sky scivola via tra la concorrenza, velocemente, sagacemente, nonostante i difetti piccoli e grandi di cui sappiamo.
Dal cielo “sky” arriva un messaggio chiaro. La informazione continua, l’intrattenimento attento al cinema (molte festidiose repliche però), la consapevole e abile tessitura fra spot pubblicitari e sigle redazionali, l’efficacia delle rapide regie e delle musiche; l’ attenzione all’arte e alla cultura con ritmo narrativo sono qualità che alternano abitudinarietà e gioco di sorprese, a rimpiattino, con il pubblico.
Il digitale terrestre, di cui spesso siamo scontenti per rozzezza tecnica e inutilità di molti canali, va a caccia di tartufi e in questa epoca però sono pochi, pochini, pochissimi. E’ solo possibile dire che la somma della moltiplicazione dei pani e pesci tv, non fa un bel effetto. Anzi, è spesso irritante la offerta predisposta, in una confusione che non può non esserci, secondo le regole di ammissioni alla messa in onda e agli affitti. I canali sono molti anche su Sky, ma corrispondono a una impostazione in qualche modo organizzata e comunque meno contraddistinta di contraddizioni,compromessi, cadute, inutilità generica.
Il digitale non aiuta a digerire l’abbondanza e la superfluità. Non è avvenuto quel che era promesso: il numero di più canali in sequenza può garantire possibilità e varietà ma sfido chiunque a dire che il salto complessivo nella qualità sia avvenuto. Può darsi addirittura , ma ne sono sicuro, che si siano fatti dei passi indietro.
Avremo modo di approfondire questi giudizi, frutto di una lunga osservazione che mi è capitato di fare, e che possono essere sbagliati, confrontiamoci: penso che l’abbondanza superflua, e la scarsa fantasia nonchè progettazione,favorisca la eterogeneità delle scelte e dei giudizi
I canali principali, tre contro tre. Rai1, Rai2, Ra3: da anni si barcamenano, conservano primati di ascolti e sono meno preoccupati dalla gara negli ascoli (che vincono complessivamente). Canale 5, Rete 6, Italia 1 resistono nel tentativo concorrenziali, vanno a corrrente alternata, hanno un loro pubblico, più giovane, ma non tale da impedire un’attenzione stabile, in crescita, del pubblico meno giovane.
I canali principali sono angosciati dai deficit, aumento dei costi e delle quote per i diritti da acquisire e dalla pubblicità in calo; stentano a rinnovarsi, più che in lotta sembrano alleati per forza di cose a proteggersu vicendevolmente. Le cose, la situazione “devono”restare come sono.
I cambiamenti che hanno caratterizzato la 7- terzo oggetto nella corsa delle lumache- si sono imposti per qualche tempo poi si sono ridotti, perdendo presenza ed efficacia
La 7 non è più il frutto di idea di un canale alternativo in tutti i sensi ma di un adattamento nei dubbi e nelle lacerazioni della politica.
Ed ecco che, da questo rapido schema (sempre discutibile) una domanda nasce e s’impone. Ancora una volta,la questione è politica, come accade in modo tipico in un Paese in cui , come diceva Ennio Flaiano, “nulla è più stabile del provvisorio”.
Il “provvisorio”- la situazione appena indicata- è alla base di un malessere che è alla base di una delusione crescente. ll malessere è dovuta a televisioni (un’unica televisione ormai) che sono il risultato di un tanti anni di un deterioramento in cammino.
Dal 1975, data della riforma della Rai, ad oggi, sono quarant’anni. Quarant’anni di mani della politica, o meglio dei partiti, sulla tv. Ricordate il film di Francesco Rosi “Le mani sulla città”, tra fine anni 50 e inizio 60? Così. Mi spiegherò, in modo storico, non velleitario, con il senno del poi. Direte cosa ne pensate. (1-continua)