Non è l’arena e Live: informazione che intrattiene o intrattenimento che informa?
Tra impegni sostenuti a metà e spettacolarizzazione della notizia, i due rotocalchi finiscono per peccare di pericolosa superficialità
“Ci si può occupare di tutto in televisione”. Sacrosanta verità, pronunciata ieri da Massimo Giletti in occasione della settima puntata di stagione di Non è l’arena, programma di approfondimento della domenica di LA7. Più che un potere, un dovere del mezzo televisivo che, pur declinando l’informazione in una moltitudine di stili diversi, ha il compito di garantire l’autenticità della notizia, anche se veicolata in un contesto di intrattenimento. La deontologia professionale non deve mutare se l’etichetta che gli studiosi applicano a un prodotto è quella di infotainment, tanto più che il rotocalco è ormai genere collaudato e familiare all’ampio pubblico. A discapito della spettacolarizzazione del fatto narrato, sicuramente più appetibile se presentato in pompa magna e commentato da analisti sui generis, è necessario fornire gli elementi comodi e scomodi per interpretare un fatto, affinché la rispettabilità della fonte e l’attenzione per la ricostruzione storica non vengano mai meno.
Non è l’arena segue spesso questo principio per la realizzazione degli spazi: smontare il già detto, sottoporlo all’occhio vigile dell’esperto o dei protagonisti, riavvolgere il nastro e riprodurlo nell’ordine corretto. È accaduto con Asia Argento e l’affare Jimmy Bennett, con Pamela Prati e il fantomatico Mark Caltagirone e, per ultimo, con Tony Colombo e la consorte Tina Rispoli, finiti alle cronache per il pomposo matrimonio e per i presunti contatti con la malavita organizzata napoletana. Ad intervenire sul caso, esplorato in relazione al suo racconto web e televisivo, tre ospiti titolati: Francesco Piccinini, direttore di Fanpage, testata che si sta occupando degli affari della coppia con l’inchiesta Camorra Entertainment; l’esperto di media Riccardo Bocca e la giornalista Selvaggia Lucarelli, che già si era espressa sulla faccenda su Twitter, criticando chi ha reso il cantante neomelodico una star trash del piccolo schermo. Il riferimento è a Barbara d’Urso, che nei suoi salotti ha ospitato spesso l’artista siciliano, recentemente anche insieme alla moglie, sottoponendolo al temutissimo giudizio di Veronica Maya e Alessandra Mussolini nell’ultima puntata di Live – Non è la d’Urso. Le allusioni alla conduttrice di Canale 5 e al suo contenitore sono state molteplici, così come le accuse di riduzione in farsa della polemica, ben più rilevante di un semplice caso da rivista di gossip. “Un passaggio televisivo di un certo tipo accredita un sistema” sostiene Massimo Giletti, mentre Riccardo Bocca sottolinea la mancanza di contraddittorio con un esponente della magistratura. “Tina Rispoli è stata chiamata principessa con la coroncina” ricorda sbigottita Selvaggia Lucarelli, che ha conosciuto Tony Colombo sulla pista di Ballando con le stelle nel 2014.
Se ragguardevole è apparsa l’operazione messa in piedi per opacizzare lo sfarzo neomelodico, superficiale invece si è profilato il trattamento riservato al tema della prostituzione minorile, al centro del servizio successivo, scattato a mezzanotte. A cinque anni dallo scandalo delle baby squillo dei Parioli e a un mese dall’uscita della seconda stagione di Baby, si è tornato a discutere in televisione di giovani che si offrono per soldi su siti di incontri e dei loro molestatori. Gli opinionisti chiamati a fornire il proprio punto di vista sulle ricadute di questo fenomeno complesso? La giornalista di costume Candida Morvillo, l’attrice hard Michelle Ferrari e il direttore di Libero Vittorio Feltri, con cui il conduttore si è divertito a scherzare sulla comune vita sessuale, sempre più piatta. La severità garantita quando si parla di criminalità viene meno se il riflettore punta sul torbido, che diventa più pop e irriverente se a metterci il naso è una procace star dei film a luci rosse (con la stessa autorevolezza che Terence Hill, in quanto Don Matteo, ha in materia teologica), un eccentrico direttore e un’opinionista che, per quanto informata sull’argomento, non ha comunque le competenze necessarie per fare da contraltare alle argomentazioni dei colleghi. Si chiama in causa la psicologia per capire cosa si celi dietro ai desideri degli adescatori, globalmente condannati, ma al talk non partecipa alcun esperto del settore o rappresentante delle forze dell’ordine. Il dibattito, che finisce inevitabilmente per basarsi su riflessioni da bancone del bar, scade, mescolando questioni eterogenee fra loro e non offrendo validi spunti di riflessione. Fallisce così l’impresa informativa, tanto nobilmente perorata qualche minuto prima, col rischio di svalutare l’ottimo lavoro di inchiesta che ha corredato il talk.
Prima un’opera quasi filologica, che ha riconsegnato brutalmente ai telespettatori uno zircone che qualcun altro ha fatto sembrare un diamante. Poi un cedimento strutturale, responsabile di squilibri e dislivelli. Proseguendo la metafora orafa, non sarà tutto oro ciò che luccica, ma sarebbe bastato rinunciare al folklore condannato per un’informazione di qualità superiore. Prima e dopo la mezzanotte.