Scopriremo domani mattina se il nuovo corso di Non è l’Arena, il programma di Massimo Giletti, spostatosi al mercoledì in una serata trafficata non poco tra Chi l’ha visto, Zona Bianca, fiction e Champions League, sarà partito col piede giusto.
La valutazione del programma di La7 avrà inizio proprio dalla sua nuova forma. Non è l’Arena si presenta chiaramente in una veste più asciutta a causa dell’orario ridotto ma la durata, in realtà, è quella standard di ogni talk show di approfondimento giornalistico di prime-time che si rispetti (con chiusura all’una di notte), con il ricordo della durata monstre della domenica sera che gioca un punto a favore del programma, almeno fino a quando il pubblico non si sarà abituato a questo nuovo corso.
Alla fine, infatti, 4 ore di talk rimangono sempre non poche, con Massimo Giletti che, per quanto abbia costruito una narrazione apprezzabile attorno all’inchiesta tanto annunciata alla vigilia di questa prima puntata (lo scandalo delle mascherine scarsamente protettive attualmente in uso in alcuni presidi sanitari), non sempre è riuscito a mantenere una cadenza regolare al programma, costruendo, però, uno storytelling tra i vari servizi, provando anche a mantenere quella suspense sulla quale si può anche essere legittimamente in disaccordo e utilizzando l’ironia, quando era possibile, per allentare la tensione.
Perché Massimo Giletti, indubbiamente, conosce il mestiere, sa fare tv, come quando ha costruito un mini-reality show attorno alla telefonata improvvisa del legale di Mario Benotti, capendo, fin da subito, fino a quando conveniva tirare avanti il tormentone e, successivamente, quando darci un taglio (con un messaggio in segreteria lasciatogli in diretta).
A proposito di tormentoni, quello riguardante il ministro Speranza è uguale ma diverso perché permette di creare una sorta di fil rouge tra questa puntata e quelle che verranno: un altro, legittimo, espediente televisivo.
Non è l’Arena, inoltre, è terreno fertile anche per piccoli colpi di scena: oltre alla sopraccitata telefonata, da segnalare, una dichiarazione di non poco conto di Vittorio Sgarbi sul premier Draghi riguardo il Green Pass. Anche se con Sgarbi in studio, effettivamente, è più strano che non accada nulla anziché il contrario…
Giletti è sempre stato eloquente nella sua ferma intenzione di dare spazio e microfoni a tutte le realtà che ci circondano, e ai loro protagonisti, in quanto, stando alle sue parole, “non possiamo non vedere quello che c’è intorno a noi”. Questa premessa non è certo sufficiente per poter porgere il microfono proprio a tutti ma tant’è…
Da questo punto di vista, si presenta una vaga analogia tra Non è l’Arena e Fuori dal Coro, in onda su Rete 4. Se il programma di Mario Giordano, però, si nasconde dietro il paravento dei dubbi e delle domande per esprimere opinioni lampanti, Non è l’Arena, perlomeno, garantisce un minimo di incalzamento in più davanti a personaggi definiti controversi dall’opinione pubblica, giusto per usare un eufemismo. Certo, a riguardo, Giletti potrebbe fare comunque molto di più…
Alla fine, i duelli a singolar tenzone, quando si parla di COVID-19, ormai, risultano sempre più stantii, in quanto le argomentazioni sono sempre le medesime. Davvero conviene puntare ancora a questo?
Ne facciamo un discorso prettamente televisivo: dopo un anno e mezzo, urge sicuramente una chiave nuova per non tediare gli spettatori. È un monito che non riguarda unicamente Non è l’Arena: cambiano gli attori protagonisti ma il copione appare praticamente lo stesso.
Il blocco televisivo dedicato ai Casamonica, quindi alla cronaca, è arrivato giusto in tempo in questa prima puntata ed è risultato il migliore e quello gestito meglio dal conduttore.
Nel complesso, una prima puntata di Non è l’Arena dove il mestiere e l’esperienza eloquenti di Massimo Giletti non hanno permesso al programma, però, di partire col botto.