Nei Reality Show è consentito insultarsi: lo ha deciso la Cassazione
Il contesto conta. E’ questa, in soldoni, la novità, se così si può dire, implementata dalla Corte di Cassazione che ha respinto la domanda di risarcimento di un concorrente di un reality show, sentitosi appellare “pedofilo” da un altro durante la registrazione di una puntata. Stiamo parlando di Survivor, la versione italiana andata in onda
Il contesto conta. E’ questa, in soldoni, la novità, se così si può dire, implementata dalla Corte di Cassazione che ha respinto la domanda di risarcimento di un concorrente di un reality show, sentitosi appellare “pedofilo” da un altro durante la registrazione di una puntata. Stiamo parlando di Survivor, la versione italiana andata in onda nel 2001 tra il disinteresse generale e di Franco Mancini, il quale era stato accusato da Samuele Saragoni di essere un “pedofilo” per le insistite attenzioni rivolte dal primo a una concorrente molto più giovane di lui.
In sostanza, avendo questo tipo di trasmissioni, “la caratteristica di sollecitare il contrasto verbale tra i partecipanti” e dal momento che “i concorrenti ne sono perfettamente consapevoli”, allora è del tutto inutile – secondo la Cassazione – inoltrare eventuali richieste di risarcimento.
La memoria legale di Mancini premeva sul fatto che, essendo Survivor il primo reality trasmesso in Italia, allora non era noto che una simile trasmissione fosse volutamente indirizzata “alla rissa verbale tra i partecipanti”. Secondo la Cassazione non è stata commessa alcuna diffamazione: per valutare “la portata offensiva” dell’espressione usata, infatti, “occorre avere riguardo al contesto nel quale essa è inserita. Non poteva sfuggire ai soggetti direttamente coinvolti che stavano partecipando a una trasmissione volutamente indirizzata alla rissa verbale”.
Alla vigilia di un Grande Fratello itlaiano che si annuncia interminabile, prepariamoci al disastro dialettico e al trionfo completo del trash.