Un social drama mancato che preferisce essere dramedy sentimentale: ecco perché Mina Settembre spiazza e rassicura
Tanto (forse troppo) sentimento nei primi episodi di una serie che propone la figura dell’assistenza sociale ma da un nuovo punto di vista
In un panorama televisivo che offre solitamente formati ben riconoscibili, Mina Settembre da un lato spiazza e dall’altro rassicura. Spiazza perché, per la prima volta, la tv propone come protagonista una figura che solitamente compare nelle fiction con ruoli secondari o più minori e che spesso subisce una rappresentazione non sempre positiva, ovvero l’assistente sociale.
Un mestiere che nella serialità spesso viene associato ad episodi dall’impatto negativo sulla vita degli altri personaggi: l’assistente sociale viene chiamato quando c’è un bambino conteso, delle persone fragili o una situazione che richiede un’aggiustatura “forzata”.
La Mina Settembre nata dalla penna di Maurizio De Giovanni, invece, non aggiusta, ma aiuta. E la serie spiazza proprio per questo senso di solidarietà che la protagonista vuole diffondere, senza compiere azioni straordinarie, ma semplicemente facendo il proprio lavoro.
Una rivalutazione di una professione che troppe volte gli sceneggiatori hanno alimentato con stereotipi e luoghi comuni, sebbene di lavoro da fare in questa direzione ce ne sia ancora. A contribuire a quest’opera anche l’interpretazione di Serena Rossi, bellezza acqua e sapone e semplice nel dare volto ad una giovane donna che, oltre a correre in soccorso degli altri, deve riuscire anche ad aiutare se stessa.
Mina Settembre sarebbe potuto diventare un interessante social drama, ma fugge da questa ambizione puntando piuttosto sulla dramedy sentimentale. Ed è in questo senso che, tornando al punto di partenza di questo pezzo, la serie tv rassicura il pubblico. Numerosi sono gli elementi caratterizzanti la fiction Rai che ritroviamo in questa produzione: dal triangolo amoroso, ai segreti di famiglia, fino alla parte comedy tutta al femminile. Tante declinazioni, insomma, di materiale che il pubblico già conosce a sufficienza.
Due lati di una stessa medaglia che rendono Mina Settembre un prodotto assolutamente godibile ma che richiama titoli già visti: un po’ de L’Allieva, un po’ di Che Dio Ci Aiuti, il mondo che dai romanzi di De Giovanni è poi stato messo in scena dalla regista Tiziana Aristarco ci regala, a volte, delle sensazioni di deja-vù.
L’operazione, sulla carta, poteva essere ancora più audace: considerato che De Giovanni è autore anche delle saghe de I Bastardi di Pizzofalcone e del Commissario Ricciardi (quest’ultimo in partenza su Raiuno il 25 gennaio), ci si aspettava da Mina Settembre una produzione se non altrettanto sfacciata, almeno più audace sul fronte del contesto sociale descritto. La speranza è che nel corso degli episodi si osi un po’ di più, ma intanto quello che si è visto nella prima serata mostra più sentimento che altro.
E’ indubbio, però, che per come è stata pensata questa fiction possa raggiungere il successo desiderato: chissà che, sull’onda di una meritata popolarità, Mina Settembre non possa farsi portavoce di istanze più drammatiche e tirare fuori davvero lo specchio di quell’Italia che i servizi sociali conoscono molto bene.