Messaggio di Fine Anno 2023 di Sergio Mattarella: pace, amore, unità, diritti umani, libertà, partecipazione le parole chiave di un discorso perfetto
Vediamo come seguire in diretta tv il messaggio di fine anno 2023 di Sergio Mattarella, il nono discorso da Presidente della Repubblica
Tradizionale messaggio di fine anno per Sergio Mattarella, che questa sera, domenica 31 dicembre 2023, ha rivolto per la nona volta consecutiva il suo discorso ai cittadini italiani in qualità di Presidente della Repubblica. Siamo al secondo anno del suo secondo mandato, iniziato nel febbraio 2022: questo Messaggio di Fine 2023 è quindi il secondo del suo secondo settennato al Quirinale e con esso eguaglia, quindi, il predecessore Giorgio Napolitano, il primo ad essere eletto per due volte consecutive alla Presidenza della Repubblica e dimessosi dopo due anni dall’inizio del suo secondo mandato, nel gennaio 2015.
Altrettanto tradizionale – e istituzionale – la trasmissione a reti praticamente unificate del discorso di Fine Anno del Presidente: vediamo quali emittenti lo hanno trasmettono in diretta e approfittiamo per rileggerlo e rivederlo. Come sempre ha toccato tutti i temi cari alla democrazia, condannando la mentalità della guerra, l’atteggiamento polarizzante di una certa politica fatta per dividere, la logica della sopraffazione sulle donne, l’attacco ai diritti umani. Un compendio di civiltà politica e sociale quello di Mattarella. E rileggiamolo insieme.
Discorso di Fine Anno 2023, il testo di Mattarella
Un discorso di circa 20′, più lungo di quelli cui ultimamente ci ha abituato
Care concittadine e cari concittadini,
questa sera ci stiamo preparando a festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Nella consueta speranza che si aprano giorni positivi e rassicuranti.
Naturalmente, non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo.
Sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità.
Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana.
La violenza.
La guerra
Il primo passaggio è dedicato alle guerra, senza sconti al Governo di Israele e con un occhio verso chi ‘traffica’ in armi.
Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate.
Le devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla.
L’orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità.
La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti.
La guerra – ogni guerra – genera odio.
E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti.
La guerra è frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza.
E si pretende di asservire, di sfruttare. Si cerca di giustificare questi comportamenti perché sempre avvenuti nella storia. Rifiutando il progresso della civiltà umana.
Il rischio, concreto, è di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini. Come – sempre più spesso – accade nelle guerre.
Alla tragica contabilità dei soldati uccisi. Reciprocamente presentata; menandone vanto.
Vite spezzate, famiglie distrutte. Una generazione perduta.
E tutto questo accade vicino a noi. Nel cuore dell’Europa. Sulle rive del Mediterraneo.
Macerie, non solo fisiche. Che pesano sul nostro presente. E graveranno sul futuro delle nuove generazioni.
Di fronte alle quali si presentano oggi, e nel loro possibile avvenire, brutalità che pensavamo, ormai, scomparse; oltre che condannate dalla storia.
La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. Così diffuse. Sempre più letali. Fonte di enormi guadagni.
Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano.
“Fare spazio alla mentalità della pace non è buonismo”
È indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace.
Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità.
Sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace.
Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti.
Ma impegnarsi per la pace significa considerare queste guerre una eccezione da rimuovere; e non la regola del prossimo futuro.
Volere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole.
Perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone.
Per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi.
Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera.
Dipende, anche, da ciascuno di noi.
Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà.
La violenza contro le donne: “Ragazzi, l’amore non è egoismo”
Vediamo, e incontriamo, la violenza anche nella vita quotidiana. Anche nel nostro Paese.
Quando prevale la ricerca, il culto della conflittualità. Piuttosto che il valore di quanto vi è in comune; sviluppando confronto e dialogo.
La violenza.
Penso a quella più odiosa sulle donne.
Vorrei rivolgermi ai più giovani.
Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità.
L’odio, gli haters, la ricerca dell’avversario vs i problemi della gente comune
Penso alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete.
Penso alla violenza che qualche gruppo di giovani sembra coltivare, talvolta come espressione di rabbia.
Penso al risentimento che cresce nelle periferie. Frutto, spesso, dell’indifferenza; e del senso di abbandono.
Penso alla pessima tendenza di identificare avversari o addirittura nemici. Verso i quali praticare forme di aggressività. Anche attraverso le accuse più gravi e infondate. Spesso, travolgendo il confine che separa il vero dal falso.
Queste modalità aggravano la difficoltà di occuparsi efficacemente dei problemi e delle emergenze che, cittadini e famiglie, devono affrontare, giorno per giorno.
Il lavoro che manca. Pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione.
Quello sottopagato. Quello, sovente, non in linea con le proprie aspettative e con gli studi seguiti.
Il lavoro, a condizioni inique, e di scarsa sicurezza. Con tante, inammissibili, vittime.
Le immani, differenze di retribuzione tra pochi superprivilegiati e tanti che vivono nel disagio.
Le difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti. Con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi.
La sicurezza della convivenza. Che lo Stato deve garantire. Anche contro il rischio di diffusione delle armi.
Rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere; e di cui non condividono andamento e comportamenti.
Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa. Incapace di unirsi nel nome di uno sviluppo globale.
In una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo.
Dipende da tutti noi far prevalere, sui motivi di allarme, le opportunità di progresso scientifico, di conoscenza, di dimensione umana.
Quando la nostra Costituzione parla di diritti, usa il verbo “riconoscere”.
“I diritti umani sono nati prima dello Stato”: l’ascolto è civiltà
Significa che i diritti umani sono nati prima dello Stato. Ma, anche, che una democrazia si nutre, prima di tutto, della capacità di ascoltare.
Occorre coraggio per ascoltare. E vedere – senza filtri – situazioni spesso ignorate; che ci pongono di fronte a una realtà a volte difficile da accettare e affrontare.
Come quella di tante persone che vivono una condizione di estrema vulnerabilità e fragilità; rimasti isolati. In una società pervasa da quella “cultura dello scarto”, così efficacemente definita da Papa Francesco.
Cui rivolgo un saluto e gli auguri più grandi. E che ringrazio per il suo instancabile Magistero.
Affermare i diritti significa ascoltare gli anziani. Preoccupati di pesare sulle loro famiglie; mentre il sistema assistenziale fatica a dar loro aiuto.
Si ha sempre bisogno della saggezza e dell’esperienza. E di manifestare rispetto e riconoscenza per le generazioni precedenti. Che, con il lavoro e l’impegno, hanno contribuito alla crescita dell’Italia.
Affermare i diritti significa prestare attenzione alle esigenze degli studenti, che vanno aiutati a realizzarsi. Il cui diritto allo studio incontra, nei fatti, ostacoli. A cominciare dai costi di alloggio nelle grandi città universitarie; improponibili per la maggior parte delle famiglie.
Significa rendere effettiva la parità tra donne e uomini: nella società, nel lavoro, nel carico delle responsabilità familiari.
Significa non volgere lo sguardo altrove di fronte ai migranti.
Ma ascoltare significa, anche, saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo. Mutamenti che possono recare effetti positivi sulle nostre vite.
I rischi dell’AI
La tecnologia ha sempre cambiato gli assetti economici e sociali.
Adesso, con l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali..
Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile.
“Partecipare alla vita civile col voto, non con i sondaggi e sui social”: libertà è partecipazione
Viviamo, quindi, un passaggio epocale. Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci.
Con la partecipazione attiva alla vita civile.
A partire dall’esercizio del diritto di voto.
Per definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social.
Perché la democrazia è fatta di esercizio di libertà.
Libertà che, quanti esercitano pubbliche funzioni – a tutti i livelli -, sono chiamati a garantire.
Libertà indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di potere, possa pretendere di orientare il pubblico sentimento.
Non dobbiamo farci vincere dalla rassegnazione. O dall’indifferenza. Non dobbiamo chiuderci in noi stessi per timore che le impetuose novità che abbiamo davanti portino soltanto pericoli.
Prima che un dovere, partecipare alla vita e alle scelte della comunità è un diritto di libertà. Anche un diritto al futuro. Alla costruzione del futuro.
Partecipare significa farsi carico della propria comunità. Ciascuno per la sua parte.
Significa contribuire, anche fiscalmente. L’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale. E ritarda la rimozione del debito pubblico; che ostacola il nostro sviluppo.
“La forza della Repubblica è la sua unità, che non è il risultato di un potere che si impone”
Contribuire alla vita e al progresso della Repubblica, della Patria, non può che suscitare orgoglio negli italiani.
Ascoltare, quindi; partecipare; cercare, con determinazione e pazienza, quel che unisce.
Perché la forza della Repubblica è la sua unità.
L’unità non come risultato di un potere che si impone.
L’unità della Repubblica è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace.
I valori della Costituzione, da Cutro agli angeli del fango, da Pizza Aut a Don Diana
I valori che la Costituzione pone a base della nostra convivenza. E che appartengono all’identità stessa dell’Italia.
Questi valori – nel corso dell’anno che si conclude – li ho visti testimoniati da tanti nostri concittadini.
Li ho incontrati nella composta pietà della gente di Cutro.
Li ho riconosciuti nella operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano ‘Romagna mia’.
Li ho letti negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà.
O di quelli che lo fanno a Casal di Principe. Laddove i beni confiscati alla camorra sono diventati strumenti di riscatto civile, di impresa sociale, di diffusione della cultura. Tenendo viva la lezione di legalità di don Diana.
Nel radunarsi spontaneo di tante ragazze, dopo i terribili episodi di brutalità sulle donne. Con l’intento di dire basta alla violenza. E di ribellarsi a una mentalità di sopraffazione.
Li vedo nell’impegno e nella determinazione di donne e uomini in divisa. Che operano per la nostra sicurezza. In Italia, e all’estero.
Nella passione civile di persone che, lontano dai riflettori della notorietà, lavorano per dare speranza e dignità a chi è in carcere.
O di chi ha lasciato il proprio lavoro – come è avvenuto – per dedicarsi a bambini, ragazzi e mamme in gravi difficoltà.
A tutti loro esprimo la riconoscenza della Repubblica.
Perché le loro storie raccontano già il nostro futuro.
Ci dicono che uniti siamo forti.
Buon anno a tutti!
Discorso di Fine Anno 2023, il video
Qui potete rivedere integralmente il discorso del Presidente Mattarella.
Discorso di Fine Anno 2023, quando e dove va in onda
Il messaggio di Fine Anno del Presidente Mattarella, registrato nelle scorse ore al Quirinale, viene trasmesso alle 21.30 di domenica 31 dicembre su Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rai News, Canale 5, Rete 4, su La7 all’interno del TgLa7 delle 20.00,
Discorso di Fine Anno Mattarella 2023 in streaming
Il messaggio di fine anno del Presidente Mattarella viene trasmesso in live streaming su RaiPlay e sul canale YouTube del Quirinale. I discorsi del Presidente della Repubblica sono poi disponibili on-demand su RaiPlay e YouTube.
Messaggio di Fine Anno 2023, il set
Anche in questo 2023, il Presidente Mattarella ha scelto di parlare stando in piedi, anzi con una novità, ovvero l’ingresso in movimento. Sempre ben visibile, anche quest’anno, l’albero di Natale, usato come sfondo con le sue luci dorate e blu che richiamano direttamente i colori dell’Europa, insieme al verde e al rosso che evocano il tricolore. Le bandiere della Repubblica, dell’Italia e dell’Europa sono sempre in primo piano nei messaggi del Presidente Mattarella e questo nono messaggio non fa eccezione.
Un set studiato anche nelle riprese e nei primissimi piani che mantengono le luci del Natale sullo sfondo. Un set che accompagna un messaggio perfetto, che ha tenuto dentro tutti gli argomenti più caldi, che non ha dimenticato i veri problemi degli italiani, dalla sanità al lavoro, dal diritto allo studio alla garazia dei diritti umani. Grazie presidente!
I precedenti
Negli ultimi anni il Presidente Mattarella ha variato il set del messaggio di fine anno. Alla tradizionale scrivania, si sono sostituite posizioni più ‘dinamiche’ e per certi versi ‘festive’, con inquadrature che hanno spesso coinvolto gli alberi di Natale allestiti al Quirinale. Ricordiamo in particolare quello di fine 2022, del 2021, del 2020 nel corridoio delle vetrate, e di fine 2016 giusto per citare i più recenti.
Quando si parla di messaggi e di Mattarella, però, il pensiero corre al 27 marzo 2020: in quell’occasione, Sergio Mattarella rivolse un discorso alla nazione nei giorni più drammatici della pandemia da Covid-19; fu pubblicato, però, per errore anche un ‘cut’ sbagliaro del Presidente, nel quale ricordava come anche lui non avesse avuto modo di andare dal barbiere. Un messaggio che vale la pena ricordare anche oggi, per non dimenticare.