Massimo Fichera è morto: la “sua” Rai2 sta malissimo
Come direttore Rai2 si aprì a vari considerevoli personaggi. Oggi, il canale che dirigeva è disastroso.
Era nell’aria la scomparsa di Massimo Fichera, ammalato da tempo, e da sempre innamorato della televisione e del servizio pubblico. L’ho conosciuto e ho lavorato con lui e gli amici di Rai2, la “sua” rete dopo la riforma del 1975. Era un laico, socialista, aveva lavorato per la Olivetti, occupandosi di cultura, e aveva una grande sensibilità per la letteratura, il teatro, il cinema.
Come direttore Rai2 si aprì a vari considerevoli personaggi, come Raffaele La Capria ad esempio, che erano dentro la struttura e cercò di valorizzarne il contributo. Gli intellettuali, anzi i creativi, in televisione hanno sempre dato fastidio, li si faceva lavorare poco, o lateralmente. Non mancavano i “parassiti”, certo; ma la sciagurata ghettizzazione complessiva degli autori, dei cosiddetti creativi era reale e si è fatta grave. Andrea Camilleri, lo scrittore di grande successo, lo abbiamo conosciuto quando è andato in pensione, all’interno della Rai non trovava molto spazio.
Fichera cercò di valorizzare lui e ogni altro contributo di intelligenze per evitare l’atmosfera di burocrazia e inedia che in tv si rivela una palla al piede più che in una normale azienda o in un ministero. Aveva voglia di fare e di capire. Gli suggerii di leggere un libro di Pier Paolo Pasolini, “Il sogno di una cosa”, perché lo ritenevo, e ritengo, un possibile spunto per un film. Ne parlammo con Carlo Lizzani. Ma il progettò non andò avanti, venne messo da parte ma non fu per svogliatezza ma perché troppo fuori dalle vedute di una televisione in mezzo a un guado in cui si trova. Ovvero, che significa concretamente servizio pubblico?
Sembrano oggi parole vuore. Fichera si era misurato insieme ad altri (cito tra pochi Angelo Guglielmi) con la forte, sempre più forte, ingerenza dei partiti nella esistenza, nei ruoli, nelle nomine del servizio pubblico. La lottizzazione venne decisa freddamente dalla politica come il metodo sovrano per rilanciare la Rai. Funzionò poco, e con gli anni funzionò ancora meno, fino alla difficile e intricata situazione attuale.
La domanda è ancora più pressante: ma che cosa vogliono fare lo stato e i responsabili del paese per dare alla Rai ciò che le è stato tolto? E cioè la libertà di essere un’azienda sana, con i bilanci a posto, e la testa piena di idee, di progetti, di futuro. Non d’aria.
Fichera stimava Ettore Bernabei, direttore generale della Rai fino alla riforma. Erano due persone molto diverse e avevano convinzioni molto
diverse ; ma nel ricordo di ciò che è stato sono tra coloro che hanno inciso profondamente sui programmi, sullo stile e i contenuti, nonché sulla
creazione di utili, importanti rapporti lavorativi dentro, e con l’esterno della Rai; per la quale e nella quale è ancora sveglio un radicato orgoglio di appartenenza, anche se impoverito, smarrito.
La scomparsa di Fichera mi riporta al titolo “Il sogno di una cosa”. Ecco il sogno c’è ancora, ed è quello di fare una nuova Rai all’altezza del passato da salvare e di un passato più prossimo a noi da dimenticare. Ed è il sogno di chi opera onestamente in Rai e per la Rai, senza vanagloria. Le glorie che ci sono non meritano retorica, solo mutamenti sostanziali di rotta per rispetto e obiettività.