Marco Carta: reuccio del televoto, reietto del Belpaese
Marco Carta vince il Festival di Sanremo, Il Belpaese è diviso e così anche la redazione di TvBlog (lo avete appurato negli ultimi giorni e nella stessa homepage di oggi). Al sottoscritto va l’ingrato compito di provare a rileggere la parabola di questo ragazzo in salsa un po’ pop, considerato il mio filo diretto con
Marco Carta vince il Festival di Sanremo, Il Belpaese è diviso e così anche la redazione di TvBlog (lo avete appurato negli ultimi giorni e nella stessa homepage di oggi). Al sottoscritto va l’ingrato compito di provare a rileggere la parabola di questo ragazzo in salsa un po’ pop, considerato il mio filo diretto con il pubblico di Amici e quella finale che ha consacrato il suo inarrestabile successo.
Innanzitutto partiamo da un imprescindibile dualismo: cos’è pop e cos’è un po’ pop in televisione. Alla prima categoria potremmo ascrivere ciò che ha contrassegnato le mode e gli umori degli anni ’90, dalla Spice Girls mania alla dipendenza da 883 passando per la sempreverde Madonna che è indiscutibilmente la regina della categoria. D’altro canto c’erano le musicassette della musica dance di Corona e di Mauro Pilato & Max Monti (Gam Gam, come dimenticarla?), che in tempi orfani di Ipod venivano acquistati dai vuccumprà rigorosamente abbinati alle compilation delle Ragazze di Non è la Rai.
Allora non c’erano i blog, non c’era il confronto su internet con relativo gioco delle parti tra “buoni” e “cattivi”, “peccatori” e “cultori” di musica. Eravamo tutti degli incalliti consumatori di musica commerciale e non lo sapevamo, alternando un gusto del pop nobile (come nel primo caso) ad una fruizione totalmente ignara della qualità del prodotto, ma trascinata dalla sua carica vitalistica e al passo coi tempi. Marco Carta è questo: il frutto di un peer to peer multimediale che viene downloadato dal talent show televisivo, spopola con più fonti – ora complete ora corrotte – in rete e poi viene messo a disposizione come upload per Sanremo.
E’ il figlio dei click compulsivi e a costo zero di Youtube o di un download su Dada.it, che richiede un costo ma non è impegnativo tanto quanto recarsi “consapevolmente” in un negozio di cd per acquistare il disco del proprio cantante preferito. Acquisti un album di Marco Carta con lo stesso approccio easy con cui compreresti su E-bay un boxer intimo che ti valorizza il pacco, fai un click e non ti rendi neanche conto che con quello che spendi avresti potuto organizzare una cenetta per gli amici.
Marco Carta è figlio dei nostri tempi perché bivacchiamo online senza dar valore al tempo e alle cose, salvo poi vergognarci e tentare di aggrapparci sugli specchi se, in fondo, un po’ ci piace. Non a caso è anche reuccio del televoto, che decreta il vincitore di una guerra tra bande di fan, di una selezione darwiniana per la sopravvivenza dell’idolo. E’, poi, il vincitore perfetto per un Sanremo che ha sfatato la sacralità dell’ortodossia per attingere linfa da un mercato sempre più televisivo.
Quest’anno a Sanremo c’erano tanti artisti che, “sulla carta”, avevano molto più talento di Marco. E tra le nuove proposte c’era chi aveva davvero l’X Factor, più Karima Ammar che Silvia Aprile a dir la verità visto che la prima con Amici ha avuto ben poco a che spartire.
Però ha vinto Arisa, che con Marco Carta ha in comune il largo consenso, ma di un pubblico diverso. Arisa rispecchia il Belpaese che ha bisogno di riconoscersi in qualcosa di intelligente e di dignitosamente pop, salvo poi negare a se stesso che i suoi occhiali e la sua comunicativa fanno parte di un personaggio ben più costruito di Marco.
Carta è come lo vedresti al bar degli amici e piace a chi non piace farsi troppe domande. Piace alle cartone, oltre alle cartine, che magari fino a dieci anni fa hanno avviato il proprio romanzo di formazione televisivo sfogliando l’album delle figurine di Boncompagni.
Per qualcuno è un reietto della musica vera, per molti altri è qualcuno che, ne siamo sicuri, guadagnerà più dischi di Giò di Tonno, Simone Cristicchi e gli Avion Travel messi insieme. E, allora, dove sta la “verità”?