Mai dire Tintoria: non c’è più niente da ridere?
Per far ridere ai giorni nostri non occorre spremersi troppo le meningi. Ci si accontenta di sbeffeggiare gli Zero Assoluto, vivere un po’ di rendita con il repertorio di Jean Claude e, perché no, fare a gara con la concorrenza per chi sfotte meglio Dr. House. Niente di più facile: basta spiare la ricreazione di
Per far ridere ai giorni nostri non occorre spremersi troppo le meningi. Ci si accontenta di sbeffeggiare gli Zero Assoluto, vivere un po’ di rendita con il repertorio di Jean Claude e, perché no, fare a gara con la concorrenza per chi sfotte meglio Dr. House. Niente di più facile: basta spiare la ricreazione di qualsiasi scuola secondaria (o guardare le imitazioni di Pasqualino ad Amici) per assistere a siparietti di analoga fattura. Mentre, un tempo, le nuove generazioni venivano educate dagli artisti della risata a un più sapiente uso dell’arma dell’ironia.
La vera comicità è un’altra cosa: era il guizzo inventivo del Trio, diventato preistorico in una generazione che pur vive di scopiazzamenti dal passato. Era il genio parodistico di Avanzi, che pur avendo un orientamento satirico ben preciso non risparmiava perle umoristiche a tutto tondo. Era Mai dire Gol, prima ancora di cambiare nome a seconda del giorno della settimana, prima delle cretinate sulla Tim Tribù e dello spazio dato a sedicenti comici nati da questo o quel circo del tormentone. L’era delle Cortellesi, dei Covatta, dei Marcorè è finita: ora ci sono gli Ubaldo Pantani, che sembra sempre stia imitando Lapo Elkann, le Paola Minaccioni, prevedibili e insapori, i reduci da Colorado Cafè, che ha funzionato per qualche motivo non pervenuto e quindi si eleva a fucina di talenti aziendali.
Mai dire Tintoria è un po’ l’emblema di questa accozzaglia di genere, che vede qualsiasi marchio omologato all’altro senza più distinzioni di identità e qualità. Scorie che imita il cinismo alla Mai Dire e la gnocca de La Tintoria, La Tintoria che invita il vip di turno per metterlo alla berlina come la Gialappa’s e quest’ultima che a sua volta rinuncia ai toni sferzanti per puntare sulle imitazioni lavate a secco. Andando avanti di questo passo non ci sarà davvero più niente da ridere, a partire dalla satira politica che, come sottolineato da un articolo di Venerdì di Repubblica, ha ormai mollato gli ormeggi:
“Uno dei punti più alti toccati negli ultimi tempi dalla satira politica – o quel che ne resta – è stato quando Antonio Albanese, durante il suo consueto show nel Che tempo che fa di Fazio, s’è levato la parrucca di Cetto La Qualunque e ha interrotto il monologo in lacrime, affranto, sconfitto. Il governo Prodi era appena caduto tra champagne, fette di mortadella, gestacci e sputi tra i banchi del Senato. E Albanese mimò la sua plateale e amara resa dinanzi ai politici veri: nessuna rappresentazione poteva essere più ridicola, volgare e distruttiva della realtà. L’antipolitica logora anche chi la fa: il sentimento di rigetto collettivo verso la classe dirigente è tale che pare calata anche la voglia di ridere della sua parodia”.
Sottotitola l’articolo in questione: “i comici e gli autori sono in crisi: se torna Berlusconi, lo spauracchio non è la censura bensì la noia”. Il vignettista Stefano Disegni, autore di Maurizio Crozza ma anche ennesimo clone-macchietta del Dr.House, si mostra disilluso, affermando che destra o sinistra poco importa perché ormai “si assomigliano così tanto…”. In un clima di stand-by, dove i politici fanno ridere da sé e rendono superflua una qualsiasi chiave di lettura comica, ci accontentiamo della caricatura di Tiziano Ferro. Immediata, senza troppe pretese né interpretazioni sottese. Lo guardi, pensi che farà figo sfotterlo con i tuoi amici anziché difendere l’originale. Ma diciamo la verità: spalare melma sul già infangato pop è roba da dilettanti.
Come appendice al post, mettiamo a confronto due esempi di parodie pubblicitarie tratti da “epoche culturali” diverse. Da una parte i Broncoviz, tra cui ritroverete il Jean Claude-Marcello Cesena, unica garanzia della Gialappa’s (ma tra gli altri c’erano anche i bravissimi Maurizio Crozza e la moglie Carla Signoris), dall’altra la parodia di Tim Tribù dell’edizione in corso di Mai Dire. E’ cambiata solo la società o anche la creatività?