Made in Italy, la moda ti fa bella, fin quando non diventi wiki-fiction
Nulla da ridire sul piano estetico e visivo, che farà contenti i numerosi appassionati di moda
Quante ne abbiamo dette sulla fiction Mediaset in questi anni? Tante, a volte troppe. La svolta per la serialità del Biscione non è ancora arrivata, e chissà che Made in Italy non possa aiutare. Sicuramente, Taodue e The Family, nel produrre questi otto episodi, non hanno badato a spese né hanno pensato alle possibili reazioni del pubblico.
Made in Italy è sicuramente qualcosa di nuovo che arriva sulla nostra tv: niente giallo, niente family, niente mistery. Camilla Nesbitt, nel creare e produrre la serie, è andata là dove l’Italia è meglio conosciuta all’estero: l’alta moda. Perché, in effetti, ad oggi nessuno aveva pensato di raccontare la nascita delle grandi case di moda italiane in una serie tv?
La grandezza italiana senza aiutini dall’estero
Nel vedere una serie come Made in Italy (disponibile da più di un anno su Amazon Prime Video) si può apprezzare senza ombra di dubbio come il suo obiettivo sia stato pienamente raggiunto. No, non parliamo dell’aspetto narrativo, ma quello visivo ed estetico.
Made in Italy è prima di tutto un omaggio alla moda italiana: tutti i grandi che, dagli anni Settanta in poi, hanno contribuito a fare grande il nome del nostro Paese nel panorama della moda internazionale. In otto episodi vediamo Krizia, Valentino, Armani, Missoni, Ferrè, Fiorucci, Albini… La collaborazione con le maison ha aiutato: gli appassionati del genere potranno godere di abiti d’epoca originali che faranno immergere il pubblico pienamente nell’atmosfera del tempo.
Prima che la trama, insomma, a colpire è la bellezza: la cura promessa quando fu annunciata la serie è stata garantita, tanto da dare a tutto il progetto un’impronta fashion che arriva fino ai costumi dei personaggi. Un inno al talento italiano, questo vuole essere Made in Italy che, nonostante il titolo inglese, guarda solo al nostro Paese, rivendicando ciò di cui, a volte, ci dimentichiamo di essere stati e di essere ancora.
Il racconto di Made in Italy, che a volte diventa lezione
Abbiamo parlato fin qui di bellezza, di moda, di orgoglio italiano. Questo, d’altra parte, vuole evidenziare Made in Italy nelle sue scelte stilistiche. Ma stiamo parlando anche di una serie tv che, per funzionare, deve avere un racconto che proceda, agganci il pubblico e lo trattenga fino alla fine. E’ così?
Non proprio, o meglio non sempre. Accettato lo stratagemma per cui gli occhi della protagonista Irene (Greta Ferro) diventano quelli del pubblico meno a conoscenza della Storia dell’alta moda italiana, Made in Italy commette di tanto in tanto l’errore di sfiorare nel didascalismo, passando da fiction storica a “Wiki-fiction” da cui pescare nozioni ad hoc a seconda dell’occorrenza.
Da una parte, vedere alcuni inserti in cui tramite la voce fuori campo della stessa Ferro o del personaggio di Margherita Buy vengono presentati gli stilisti e le loro opere diventa necessario per introdurli al pubblico generalista. Necessario sì, ma poco utile alla trama, che rallenta spesso in questi spiegoni scritti appositamente per dare ai telespettatori la giusta infarinata di nozioni necessarie a conoscere stili e ragioni per cui gli stilisti mostrati sono diventati grandi.
La narrazione rallenta, e Made in Italy -che avrebbe potuto correre molto di più- si ferma spesso in questi “pit stop” del racconto, per fare prendere fiato al pubblico. Il risultato è però altalenante: va meglio quando le vicende private dei protagonisti s’intrecciano a quelle storico/sociali del Paese. Dal figlio di Rita (la Buy) direttamente coinvolto negli eventi degli anni di piombo al personaggio di Filippo (Maurizio Lastrico), costretto a vivere la propria omosessualità non alla luce del sole.
In generale, però, le dinamiche della redazione di Appeal cercano di dare una smossa ad uno schema che tende a ripetersi in ogni episodio e che vede Irene affrontare da sola un grande stilista, finendo per combinare qualche guaio ma riuscendo sempre a cavarsela.
Made in Italy, l’abito con qualche piega
D’altra parte, non esistono abiti senza pieghe: a questa regola non viene meno neanche Made in Italy che, seppur nella sua ambizione, deve tenere conto di alcuni difetti “di fabbrica”. Il passo, però, è stato fatto, e non si può negare che questa produzione sia più audace di tante altre che abbiamo visto sul piccolo schermo generalista.
L’impresa non è stata facile, e non merita di essere bocciata. Che serva a capire, piuttosto, che la tv free può ancora regalare storie legate al nostro Paese ed ai nostri meriti, costruendoci intorno un mondo tutto da esplorare. Una sfida non indifferente ma che, di questi tempi, potrebbe essere l’unica strada da intraprendere per continuare a vedere una serialità che merita.