Mad Men, un nuovo drama che insegna come vendersi
Non importa chi sei, cosa vuoi, quali sono i tuoi valori. L’unica cosa che conta è come lo vendi. E’ il rigoroso must di un nuovo primetime drama, Mad Men, attualmente in onda negli States sul canale American Movie Classic. La storia, ideata dall’autore e produttore dei Soprano Matthew Weiner, è ambientata negli anni ’60
Non importa chi sei, cosa vuoi, quali sono i tuoi valori. L’unica cosa che conta è come lo vendi. E’ il rigoroso must di un nuovo primetime drama, Mad Men, attualmente in onda negli States sul canale American Movie Classic.
La storia, ideata dall’autore e produttore dei Soprano Matthew Weiner, è ambientata negli anni ’60 a New York. Al centro, c’è un gruppo di advertisers (agenti pubblicitari) per la ditta Sterling Cooper. Sono gli anni d’oro del boom economico, del capitalismo trionfante e dunque del consumismo, dove la pubblicità la fa da padrona e con essa il cinismo della mentalità commerciale.
L’unico obiettivo, quanto mai attuale/attualizzante, è quello di vendere, anche a costo di (s)vendersi. La spregiudicatezza dei contenuti, in piena sintonia con il cattivismo di nuova generazione, è immediatamente riconducibile al protagonista, Don Draper, per cui persino i sentimenti sono una forma di business:
“L’amore è solo un’invenzione di uomini come me per far sì che le done comprino calze di nylon”.
Dietro il perbenismo dello status borghese, la serie in questione lascia intravedere un sottobosco di corruzione e malizia, ma soprattutto di sfrenata competizione. In più, Mad Men apre un’interessante squarcio sulla liberalizzazione della nicotina prima dell’avvio della campagna Usa anti-fumo (il primo episodio si chiama non a caso Fumo negli occhi e vede ancora il protagonista giustificare il proprio autolesionismo dicendo che tutti hanno una sigaretta tra le dita).
Il telefilm si sta facendo apprezzare per l’ottima fotografia e l’interpretazione, oltre che per le suggestioni d’annata dense di richiami sociologici (a partire dalla moda dei colletti bianchi). Per Newsweek è girato così bene che lo si può guardare senz’audio.
Non resta che sperare, a questo punto, che non faccia la fine di Studio ’60, plurielogiato dalla critica ma ancora in attesa di collocazione (rischio che accomuna tutta la serialità di elite).