Mad men: su Cult gioie e dolori degli anni ’60
Le Lucky Strike e i danni del fumo, l’ultimo forno rosa della Candy, i nuovi e rivoluzionari spray della Gillette. Ma anche giovani arrivisti, uomini dalla doppia vita e donne talvolta sfruttate consapevolmente, talvolta sull’orlo di una crisi di nervi. Scegliete come sfondo i magici anni ’60, il boom economico e l’avvento dell’era pubblicitaria sempre
Le Lucky Strike e i danni del fumo, l’ultimo forno rosa della Candy, i nuovi e rivoluzionari spray della Gillette. Ma anche giovani arrivisti, uomini dalla doppia vita e donne talvolta sfruttate consapevolmente, talvolta sull’orlo di una crisi di nervi. Scegliete come sfondo i magici anni ’60, il boom economico e l’avvento dell’era pubblicitaria sempre più presente nelle nostre vite, ed avrete “Mad men”, il telefilm già vincitore di due Golden Globe in onda su Cult, canale 142 di Sky, da domani sera alle 23 (qui la gallery mentre, dopo il salto, potete vedere la splendida sigla con la musica di RJD2).
Matthew Weiner, ideatore e produttore de “I Soprano”, avrebbe potuto prendersi una vacanza dopo la fine della serie sulla famiglia italo-americana più famosa al mondo. Invece si è messo subito al lavoro su questo nuovo telefilm -in realtà aveva già in mente il pilot dal 2000-, che negli Usa viene trasmesso dalla rete via cavo Amc e che fin dal giorno seguente al suo debutto, avvenuto lo scorso 19 luglio, ha ricevuto ottime critiche e buoni ascolti per la rete.
Sebbene sia ambientata più di 40 anni fa, alcuni dei temi affrontati sono più moderni che mai, coinvolgono, stupiscono e sanno mettere in evidenza i vizi della società moderna più di molte altre serie tv ambientate ai nostri giorni. Questo grazie alla modernità dei conflitti interiori che vivono i personaggi, calati nel contesto pubblicitario che proprio in quegli anni assume le forme prepotenti che oggi -purtroppo- conosciamo bene, e che ha portato a definire i professionisti dell’ambiente, appunto, “mad men”, ovvero “uomini folli”.
Protagonista è Don Draper, affascinante e sicuro direttore creativo della Sterling Cooper, una delle più prestigiose agenzie pubblicitarie di New York. I clienti per cui deve trovare ogni giorno non uno slogan qualsiasi, ma “lo” slogan, quello che rimane impresso nella mente di ogni americano, sono i più vari: in un episodio verrà citata anche la Jack Daniels, con le critiche di aver violato la legge che vieta la pubblicità di liquori in televisione.
La trama di “Mad men” non si ferma però solo alla ricerca del motto perfetto, anzi. Sapere vendere un prodotto, come già aveva osservato quest’estate Lord Lucas, è solo il pretesto per mostrare come questi creativi e chi li circonda cerchino di vendere loro stessi. A partire dallo stesso protagonista, interpretato da un ottimo Jon Hamm – visto in “Providence” e “What about Brian”, e che per questo ruolo ha vinto il Golden Globe come miglior attore protagonista in un drama-, che si divide tra due vite: quella frenetica, ipocrita e senza scrupoli della Grande Mela e quella più serena, pacifica e al sicuro dal caos metropolitano -ma solo all’apparenza- della famiglia.
Due mondi che si trovano in conflitto anche nel personaggio di Peggy (Elisabeth Moss, “The west wing” e “Invasion”), la nuova segretaria grazie alla quale conosciamo meglio i Mad men: sarà lei a rappresentare l’emblema di una società sempre più debole e intaccata dalla brama di successo, non senza cattive conseguenze. Mentre Betty (January Jones, “American Pie: il matrimonio”), moglie di Don, sotto gli abiti della perfetta casalinga serba un’insoddisfazione tale da crearle non pochi problemi.
In realtà, ogni personaggio della serie è scritto in modo tale da comunicare un messaggio, andando a comporre un mosaico perfetto in cui i loro dialoghi scoprono poco a poco le doppie facce a cui devono fare affidamento per non essere inghiottiti dalla spietata natura dell’advertising: da Peter Campbell (Vincent Kartheiser, “Angel”), giovane, con le idee chiare sul lavoro ma poco nella vita privata, a Salvatore Romano (Bryan Batt), rappresentante della “minoranza etnica” alla Sterling Cooper in quanto italiano, e non solo per quello.
La cornice in cui vivono questi personaggi è affascinante tanto quanto loro. Non solo i riferimenti a prodotti e programmi televisivi ai tempi conosciutissimi (come “Ai confini della realtà” o “La gente è divertente”) alimentano quella cultura storico-popolare di cui è intriso tutto lo show, ma gli stessi anni ’60 in cui si svolgono i fatti diventano ideali per rimanere distaccati ed allo stesso tempo per riflettere su quanto, effettivamente, il progresso ci abbia allontanato da quella realtà e da quelle sensazioni.
“Mad men” diventa così un pregiato specchio attraverso cui le immagini riflesse si spogliano di tutti i simbolismi e ornamenti per mostrare il vero lato sofferente e selvaggio di ogni uomo, in una spirale di promozioni e ricerche di mercato che toccheranno anche la storia: il nome di Richard Nixon non è messo lì a caso, così come i -a volte sottili, a volte no- riferimenti alla mentalità razzista e maschilista dell’epoca.
La cura per i dettagli, la magnifica fotografia, i costumi ed i dialoghi mai banali fanno di “Mad men” un piccolo gioiellino della serialità di questa stagione televisiva, tanto da fargli valere un altro Golden Globe, quello per la migliore serie drama, ed una seconda stagione da 13 episodi assicurata, in onda quest’estate.