Home Sky Atlantic M. il figlio del secolo, Sky presenta la serie tv: “Mai visto un progetto così in Italia”. Il regista Joe Wright: “Temiamo il silenzio dei politici”

M. il figlio del secolo, Sky presenta la serie tv: “Mai visto un progetto così in Italia”. Il regista Joe Wright: “Temiamo il silenzio dei politici”

Dai produttori al registra inglese Joe Wright, fino all’attore protagonista Luca Marinelli c’è stato l’impegno per creare una serie che agganciasse il pubblico al personaggio Mussolini, per poi stravolgerlo con la crudeltà delle sue azioni

5 Gennaio 2025 13:24

Se in Sky (e di riflesso su tutto il comparto delle serie tv italiane) c’è stato un prima e un dopo Gomorra, ci sarà anche un prima e un dopo M. Il figlio del secolo. Ne è certo Nils Hartmann, Executive Vice President Sky Studios Italia, che definisce la nuova serie Sky Original “un progetto così ambizioso e differente che non si è mai visto, un drama storico così contemporaneo è necessario oggi”.

In onda da venerdì 10 gennaio 2025 su Sky Atlantic con due episodi a settimana (in tutto sono otto) e in streaming su NOW, M. Il figlio del secolo (prodotta da Sky Studios e da Lorenzo Mieli per The Apartment, società del gruppo Fremantle, in co-produzione con Pathé, in associazione con Small Forward Productions, in collaborazione con Fremantle e Cinecittà S.p.A.) rappresenta indubbiamente il modo migliore per la pay tv di cominciare l’anno nuovo. Perché la serie tratta dall’omonimo libro di Antonio Scurati, vincitore del Premio Strega e bestseller internazionale (edito da Bompiani) non è una di quelle produzioni che passano inosservate. Al contrario.

Dalla messa in scena che ci riporta indietro nel tempo tra la fine degli anni Dieci e gli anni Venti del Novecento alle musiche genialmente disturbanti di Tom Rowlands dei The Chemical Brothers fino a un cast capitanato da un eccellente Luca Marinelli (pochi interpreti nel nostro Paese avrebbero avuto lo stesso coraggio di vestire i panni di Mussolini) e una regia, di Joe Wright, che scappa dal rischio del drama storico didascalico per diventare più contemporaneo di quanto si possa pensare, M. Il figlio del secolo (di cui Sky sta ragionando su una seconda stagione: “C’è interesse a dare seguito a questa avventura. Sarebbe folle non dare un seguito”, ha detto Hartmann) è un progetto ambizioso, folle, ma necessario e, soprattutto, capace di mantenere il giusto distacco con una sceneggiatura che cattura lo spettatore in una trappola da cui farà davvero fatica ad uscire.

La genesi di una follia

Un progetto folle, potremmo dire, ma che nel suo risultato riesce a mettere a tacere ogni dubbio e a proporre un’opera frutto -e si vede- di un lungo lavoro. “Antonio Scurati mi fece leggere prima della pubblicazione il libro (uscito nel 2019, ndr)”, ha raccontato Lorenzo Mieli. “Aveva capito per primo che cos’era quello che oggi noi chiamiamo populismo: questo ha innescato il desiderio di imbarcarmi in questo progetto, nato sette anni fa. Un lavoro febbrile, ma lunghissimo: per prima cosa ho chiesto a sceneggiatori, cast e regista era di fare una serie ‘pericolosa’ per la materia che racconta, essere coinvolgente ma creare anche un distanziamento intellettuale. Sono rimasto sorpreso da subito dal risultato: c’è una mostruosa abilità di racconto che non avevo mai visto”.

Una serie “pericolosa”, dice Mieli: ma andando oltre i temi e il periodo storico trattato, il rischio che corre M. Il figlio del secolo sta nel proporre un costante dialogo con il pubblico, nella rottura della quarta parete e nell’allontanamento dai canoni classici del period drama.

Lo sceneggiatore Stefano Bises (autore, tra l’altro, proprio del già citato Gomorra-La serie), che ha scritto gli episodi con Davide Serino e curato con lui il soggetto di serie e di puntata affiancati da Scurati, ha spiegato di aver voluto creare un Mussolini in evoluzione, che aggancia il pubblico tanto da farlo sentire in colpa per aver eventualmente empatizzato con lui:

“Il primo Mussolini è un perdente, vile, meschino, bugiardo… Un trattamento funzionale per creare una vicinanza al personaggio. Più la serie diventa crudele, più lo spettatore si sente male per avere avuto dei sentimenti di comprensione. È stato un lavoro che ci ha dato molta responsabilità: sette anni fa il panorama era differente, ma ci siamo sempre chiesti se stavamo facendo la cosa giusta. Ma Sky, Lorenzo Mieli e Luca Marinelli ci hanno dato il giusto sostegno”.

Una regia distaccata ma che sa di cosa parla

Serviva, per un’opera così ambiziosa, un regista capace di girare qualcosa di più di una semplice serie. “Negli ultimi anni”, ha raccontato Mieli, “ho sempre affidato le mie serie a registi che vengono dal cinema e che non guardano serie tv. La genialità di Joe Wright è stata quella di portare il suo cinema dentro la serie. Per me è la cosa più bella che abbia mai prodotto”.

Joe Wright, appunto: inglese, con i nove film girati ad oggi (da “Orgoglio e Pregiudizio” ad “Anna Karenina” fino a “L’ora più buia” e “Cyrano”) ha collezionato tra candidature e vittorie, 35 Bafta, 24 Academy Awards e 12 Golden Globe. Un regista straniero per una storia italiana è stata la scelta giusta? La risposta non richiede tempo per pensarci: sì. Wright trasforma l’ascesa di Mussolini in un percorso buio, tra dramma e black comedy, senza compromessi e offrendo una visione estremamente contemporanea, capace di agganciare anche il pubblico più esigente.

“Il fatto che sia inglese mi ha permesso di avere una certa distanza”, ha ammesso il regista, che ha anche precisato di non sentire “una grande differenza tra Inghilterra e Italia e gli altri paesi europei. A parte la lingua, c’è più distanza con gli Stati Uniti. Una delle sfide maggiori per tutti noi è stata trovare il tono, era importante che Mussolini non sembrasse un clown, che fosse preso sul serio, ma che la serie fosse anche una serie d’intrattenimento: non volevamo insegnare, ma intrattenere. Il tono cambia nel corso degli episodi, diventa sempre più cupo. Dovevamo riuscirsi ad avvicinarci alla figura di Mussolini, Luca è riuscito a sedurre il pubblico come Mussolini ha sedotto gli italiani e numerosi Capi di Stato, senza perdere di vista chi è stato l’uomo e ciò che ha commesso”.

La rottura della quarta parete, che permette a Mussolini di parlare al pubblico di oggi, per Wright “era il modo più naturale di riportare la struttura narrativa del romanzo, composto da un collage di telegrammi, lettere e articoli di giornale. Ho voluto trattenere il primo istinto che ho avuto e ho interpretato la serie in versione brechtiana, consapevole del rischio di quel grado di empatia che dovevo suscitare, per poi far mancare il terreno sotto i piedi al pubblico e spingerlo a riflettere, a sviluppare un pensiero critico”.

Cosa ancora più importante, per Wright, è stato raccontare una storia che non avesse confini:

“Sento tanto parlare dell’Italia, ma stiamo parlando di qualcosa che non ha a che fare con la Nazione. Esiste l’immaginazione. Il nazionalismo è una delle bandiere blandite da numerosi leader oggi con cui si combattono tante battaglie, come quella della Brexit. Sono più le cose che ci accomunano che quello che ci dividono. Cerchiamo Mussolini in ciascuno di noi, la bestia è in ciascuno di noi: è questo il tema della serie. Come ‘L’Ora più buia’ non era un film su Churchill ma su una persona avvolta dalla crisi, qui Mussolini diventa una metafora del male che alberga in ciascuno di noi. C’è la Storia, ma c’è anche la fiaba che invita ciascuno di noi ad analizzare la nostra capacità di non cedere agli istinti più bassi”.

Luca Marinelli, il “peso” del ruolo

Produttore, sceneggiatore e regista hanno spesso citato Luca Marinelli, colui a cui è andato il compito di dare volto e corpo a Benito Mussolini, oltre che ovviamente voce ai suoi discorsi (“è stato qualcosa di assolutamente spaventoso”). Parliamo anche di corpo non a caso, perché è stato lo stesso interprete a rimarcare la necessità di cambiare anche fisicamente per poter rendere al meglio l’idea del personaggio che aveva in mente:

“Mi serviva, dal punto di vista fisico, di sentirmi più ‘pesante’. A teatro sarebbe bastato meno, nel cinema c’è una ricerca ossessiva del fisico che diventa un’esperienza emotiva. È stato importante anche il piano intellettuale: il fatto di aver dovuto sospendere il giudizio durante il lavoro sul set, per sette mesi, è stato devastante. È stato uno dei lavori più belli della mia vita, ma la necessità di avvicinarmi a questa figura è stato necessario. Ho tentato di togliere alcune definizioni come ‘cattivo’, ‘mostro’, ‘diavolo’, che giustificano la nostra posizione: Mussolini era un essere umano che ha coscientemente scelto ciò che ha fatto, portando il Paese alla distruzione”.

I personaggi intorno a Mussolini

M. Il figlio del secolo si concentra ovviamente sul personaggio principale, ma Mussolini è circondato da figure chiave che, nel corso degli episodi, lo seguono, gli danno consigli e non riescono ad allontanarsene. In primis Cesare Rossi, sindacalista e fascista da subito, vera e propria spalla del Duce. “Avevo letto i libri che aveva scritto e usciti dopo il ’45: c’era un’adulazione forte, Rossi non riusciva a parlare male di Mussolini”, ha raccontato il suo interprete Francesco Russo. “Joe ci ha subito suggerito di lavorare su una relazione d’amicizia tossica, una co-dipendenza, come se Cesare vivesse una sindrome di Stoccolma. Questo movimento umano diventa poi metafora del Paese. Ho suggerito di rappresentare Cesare come fosse sempre nell’ombra, un passo indietro”.

Se da un fianco Mussolini ha Rossi, dall’altro ha Margherita Sarfatti, la sua amante, “una donna dalla vita complessa, poco nota in Italia”, riconosce Barbara Chichiarelli. “Lei non viene solo abbandonata, ma anche tradita in quanto ebrea. Nel ’45 scrive un libro ancora inedito in Italia, in cui ammette di non essere riuscita a contenere la deriva di Mussolini: vive un dolore enorme intellettuale ed emotivo”.

E poi c’è Donna Rachele, sempre vicina a Mussolini, fino alla fine. “Sono partita dallo studio della sceneggiatura”, ha spiegato Benedetta Cimatti, “anche per me la difficoltà è stata quella di liberarmi dal pregiudizio. Sono passata dalla rabbia iniziale a una sorta di pena. Le ho dato umanità, ho cercato le sue debolezze. Rachele vive il fascino di Mussolini, in una dimensione più intima, in cui lei è un po’ prigioniera, come se non avesse alternative, pur amandolo. Lei poi è riuscita a difendersi mantenendo la sua autenticità”.

Il resto del cast della serie include anche, tra gli altri, Lorenzo Zurzolo (Italo Balbo), Gaetano Bruno (Giacomo Matteotti), Maurizio Lombardi (Emilio De Bono), Paolo Pierobon (Gabriele D’Annunzio) e Gianluca Gobbi (Cesare Maria De Vecchi).

Le reazioni e la paura del silenzio

Una serie come questa non potrà non passare inosservata, o almeno questa è la speranza di produttori, sceneggiatori e cast. Un primo feedback M. Il figlio del secolo l’ha ricevuto a dicembre, durante una proiezione davanti a un pubblico speciale, composto da cinquecento studenti.

“Nessuno di loro ha detto nulla che fosse di destra”, ha commentato Wright, che però ricorda che “durante la realizzazione della serie ci sono state alcune occasioni in cui un paio di comparse si sono rifiutate di girare perché dicevano che stavamo mancando di rispetto a Mussolini”.

“Li ho trovati molto attenti”, ha aggiunto Marinelli tornando sul giovane pubblico della proiezione, “molto svegli sui parallelismi con l’attualità, sono molto più presenti di quanto ero io alla loro età: avrei voluto essere come loro. Credo che sia molto importante cominciare a ripuntare sull’istruzione, ho letto cose agghiaccianti a proposito. L’umanità è nelle scuole, ci sono ragazzi meravigliosi, pronti ad esserci e dire la loro”.

La reazione più attesa, oltre a quella del pubblico, è però quella del mondo politico. Tutti coloro che hanno lavorato alla serie concordano nel sostenere di avere un unico timore, di cui si è fatto portavoce il regista:

“La mia paura è il silenzio, un silenzio generato dal fatto che libro e serie ingaggiano una conversazione ricca di spunti, e noi sappiamo che la destra odia riflettere ed avere risposte complesse, preferisce avere risposte semplici e pronte all’uso, che ad alcune persone piacciono”.

Cosa pensa della serie tv Antonio Scurati?

Ognuno ha detto la sua sulla serie, ma cosa ne pensa Antonio Scurati, dalla cui saga letteraria (il prossimo 25 aprile uscirà il quinto ed ultimo volume) è nato il progetto tv? L’autore è stato coinvolto nel progetto, di cui ha scritto soggetto di serie e di puntata con Bises e Serino. Ma all’inizio aveva storto il naso di fronte ad alcune scelte stilistiche:

“Alla fine ho avuto torto, cosa che accade di rado… Lo dico scherzando. Ho fiancheggiato dall’esterno scrittura e produzione, è stato per me intellettualmente appassionante ed avvincente partecipare alle varie discussioni con gli sceneggiatori. Sentivo la loro responsabilità, a un certo punto ho dubitato sul tono, sulla rappresentazione di Mussolini e sul tono della seduzione. Mentre scrivevo il libro ho evitato che si generasse empatia”.

Dubbi che si sono velocemente dissipati:

“Devo riconoscere che la loro era la strada giusta: quando ho visto il risultato sono rimasto abbagliato e ammirato, contento che i miei timori abbiano creato qualche esitazione in più ma non siano stati motivo di ostacolo. L’arte è politica quando è grande arte: questo è un grande copione, una grande regia, una grande prova d’attore. Marinelli è come Gassmann. Questa è un’espressione dell’eccellenza artistica e della creatività del nostro paese: le chiacchiere sull’egemonia culturale stanno a zero. L’arte non si impone dall’alto, con la politica”.

Scurati non ha dubbi sulla ricezione dal parte del pubblico: “Non dobbiamo pensare che sia un eterno adolescente, il pubblico è grande, è pronto per questo racconto, che arriverà forte e potente dove deve arrivare”. E laddove arriverà, non lo farà tramite la tv di Stato. Dispiace a Scurati che non sia stata la tv pubblica ad accaparrarsi la serie tratta dai suoi libri? La sua risposta è la chiusa perfetta:

“Perché, c’è una tv pubblica in questo paese?”

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