Luciano Massa a Blogo: “Vi racconto il mondo dei creators (non chiamateli più youtubers)”
Una chiacchierata sul mondo degli “youtubers/creators”: parla Luciano Massa.
Chi bazzica nel mondo del web, non può essere indifferente a nomi tipo Martina dell’Ombra, Sofia Viscardi, The Show, Daniele Doesn’t Matter, AlicelikeAudrey, Michele Bravi e quant’altri. Sono giovani, amati dai millennials e addirittura talentuosi. Oltre ai grandi numeri sui social, hanno un tratto caratteristico: sono tutte creature (anzi, creators) di Show Reel, una “non-agenzia” di nativi digitali che ha lo scopo di far crescere talenti, lavorando su produzione e creazione. Abbiamo scambiato due chiacchiere con Luciano Massa, “padre fondatore” della factory con Luca Leoni.
Massa, partiamo dalle basi. Chiamarli ‘youtuber’ è riduttivo?
“La parola ‘youtuber’, oggi, è sicuramente sbagliata. All’inizio è stata utile per veicolare una nuova creatività verso il mondo degli old media. Oggi come oggi, c’è una maturità tale per cui associare questa creatività ad un unico social media è riduttivo. Basti pensare che la generazione z, quella di Sofia Viscardi per intenderci, oggi affianca a Youtube altri social network come Snapchat o Instagram. La parola che più di tutte rappresenta questi nuovi talenti è quella di ‘creators’, creatori: un unico termine che unisce sia la parte più visibile, la faccia ed il talento che vanno in video, quanto quella dell’attività di autore/regista/editore. Bisogna vedere sempre di più questi ragazzi come degli editori: attraverso i loro canali, compongono un vero e proprio palinsesto che si sviluppa con dinamiche paragonabili a qualsiasi altro media”.
Tv, musica, cinema, radio: ogni creators, dal web, sfocia nel media a lui più congeniale. Ma è una naturale conseguenza, la loro vera aspirazione oppure è una necessità per ampliare numeri e visibilità?
“Il passaggio è, più che altro, naturale. Dobbiamo guardare il web come le radio libere degli anni Settanta: luoghi dover poter sperimentare, crescere, iniziare a monetizzare. Ma non ci si può fermare a quel livello. Il salto di media, qualunque esso sia (il romanzo per Sofia Viscardi, il programma televisivo per i The Show, lo spazio a Nemo per Martina dell’Ombra, il film per il creator x), sono la naturale conseguenza della loro sperimentazione”.
Qualche anno fa dichiarasti che “la maggior parte dei creator che ha partecipato a progetti su altri canali ha fallito”. Sono cambiate le cose?
“Cinque anni fa gli addetti ai lavori degli old-media sono stati travolti, completamente, da questi ragazzini che, dalle loro camerette, hanno raggiunto numeri che la televisione inseguiva da tempo. I creators che hanno fatto il primo salto sono stati sfortunati, quindi impreparati, perché da entrambi i lati non c’era quella maturità per poter trasformare ed adattare la creatività di ognuno: gli addetti ai lavori non avevano ancora gli strumenti; i creators avevano l’inesperienza ma un forte potere sul consenso dal basso. Forti dei numeri che avevano, ci sono state incomprensioni che hanno portato ai fallimenti di svariati esperimenti. Oggi gli addetti ai lavori hanno avuto il tempo di aggiornarsi e masticare social network, basti vedere i dati della Nielsen”.
Il rischio non è che questi ragazzi vengano ‘sfruttati’ per creare interesse sui social o su un pubblico giovane, appetibile anche pubblicitariamente?
“Il pericolo non c’è fino a quando il creator viene messo nelle condizioni di lavorare in maniera onesta nei confronti del pubblico che lo sostiene, qualunque cosa che egli faccia”.
Secondo alcuni, la televisione si trasformerà presto in qualcos’altro. Youtube potrebbe diventare la televisione del futuro? Prima hai parlato di palinsesto…
“Cinque anni fa dissi che nell’arco di dieci anni sarebbe arrivato un momento in cui non avremmo più distinto un televisore da un tablet, tanto per la tecnologia quanto per il contenuto che questa tecnologia va a distribuire. Non si tratta se Youtube diventerà la televisione o se la televisione diventerà Youtube. Basti pensare agli ultimi prodotti di Rai Play che sempre di più permettono una fruizione non più legata alla programmazione lineare, ormai superata, ma una fruizione per tematiche ed argomenti che valorizza il contenuto. Quello che sta avvenendo, e avverrà sempre di più, è una convergenza tecnologica che obbliga tutti a reinventare il contenuto (le durate dei programmi andranno ripensate). La nostra fruizione avviene già attraverso uno smartphone in mobilità e non staticamente su un divano. E’ addirittura probabile che l’audience di un programma sia maggior on-demand che la sera davanti al televisione in prima battuta. Un esempio storico è stato quello dei Soliti Idioti che su Mtv non facevano chissà quale audience ma che è diventato un caso pazzesco grazie a internet. Si deve pensare ad una sinergia fra mondo orizzontale e mondo verticale”.
Tanti dei vostri creators lavorano in Rai: c’è un accordo “a pacchetto” come sostiene qualcuno?
“No, purtroppo. Dico purtroppo perché questo permetterebbe di lavorare in maniera diversa. In Rai abbiamo trovato, in diversi ambiti scollegati fra loro, manager attenti e intelligenti. Ma li abbiamo trovati anche in Rds, Radio Deejay, Gruppo L’Espresso. Non ci sono accordi quadro ma incontro fra esigenze, modo di lavorare, e soluzioni coerenti alle aspettative”.
Sfatiamo un mito legato ai creators: fanno tanti soldi con poca fatica.
“I creator lavorano molto di più dei talent della generazione x indietro. E guadagnano, naturalmente, molto di meno. Lavorano tanto e lavoreranno sempre di più, non solo stando davanti alla telecamera. Dietro c’è un lavoro di scrittura, studio e confronto costante con la propria community: è importante fornire un palinsesto giornaliero con più contenuti al giorno. Non bisogna vederlo come un hobby, ma come un lavoro vero ed impegnativo. Il fatto che guadagnino poco o molto è davvero relativo perché il loro valore economico è strettamente legato ai numeri che sono in grado di generare, alla stregua di Tvblog o Repubblica.it. Di fatto hanno inventato un nuovo lavoro dove il guadagno è relativo all’effettiva performance. Ogni singolo euro è giustificato dal loro potenziale. Una struttura come ShowReel fornisce loro formazione, supporto nella creazione del contenuto e nella comunicazione”.
Parlando dei vostri talenti, quale percorso vorresti sottolineare?
“Indistintamente, siamo più che soddisfatti del percorso di tutti i nostri talenti. Ti parlerò dell’unico diverso dagli altri, uno che ha fatto un percorso inverso e non è un nativo digitale: Giovanni Vernia. Entrato da poco nella nostra factory, è un personaggio nato in televisione che trova nel web la possibilità di sperimentare come e meglio del laboratorio teatrale. Stiamo sviluppando progetti che dal web stanno portando alla televisione, questo permette di costruire una serie di contenuti che possono portare ad altro – da Vacchi a Matrix al recente Mika in Nemicamatissima. Stiamo anche preparando ad un vero e proprio show, il web ci permette di sperimentarlo quotidianamente”.