Quando a Lorenzo Lo Basso, giornalista classe 1980, ora alla conduzione di Agorà Estate, chiedo quali sono stati i suoi modelli giornalistici, non ha esitazioni a rispondermi: “Luca Giurato, Andrea Vianello, Gerardo Greco e Bruno Vespa”. Inizia così la nostra chiacchierata telefonica al termine dell’immancabile riunione di redazione post puntata.
Hai recentemente dichiarato che fare il giornalista era quello che sognavi da bambino. Come nasce questo sogno e quali sono i primi passi che hai mosso in questo mondo?
Da bambino avevo anche un altro sogno, quello del pilota militare. Avevo però già allora una buona propensione a parlare e ad ascoltare gli altri. La prima occasione per realizzare il mio sogno del giornalismo me l’ha data, quando non ero ancora laureato, Enrico Cisnetto, che mi ha chiesto di seguirlo a Roma. Sono diventato però effettivamente giornalista solo una volta entrato in Rai.
Arrivi in Rai nel 2005. Come cominci a lavorare all’interno della tv pubblica? A che programmi lavori agli inizi?
Conobbi l’allora capo autore di UnoMattina, Massimo Cinque. Loro cercavano una figura che curasse le schede dell’economia. Io venivo dal giornalismo economico di Cisnetto. Mi fecero un contratto di un mese per venti puntate. Era il settembre 2005, non ho più smesso di lavorare in Rai.
Ad UnoMattina inizia un lungo capitolo della tua vita professionale, quello da inviato. Seguono Agorà, La Vita in Diretta e Rai News 24. Che cosa ti hanno insegnato tutte le esperienze che hai avuto come inviato?
Tutte queste esperienze mi hanno dato il privilegio di poter andare a vedere come stanno veramente le cose. In un’epoca in cui dominano gli algoritmi e trovano facile gioco sui social le pubblicazioni pagate da aziende, il servizio pubblico per me rappresenta un baluardo di libertà. Abbiamo il dovere e la possibilità, dato che è un qualcosa che costa sul piano economico, di andare e raccontare le cose come stanno.
Con il conflitto in Ucraina hai vissuto per la prima volta nella tua vita l’esperienza da inviato di guerra. Come la racconteresti oggi?
È un’esperienza che, se non avessi accettato di fare, sicuramente mi sarei pentito. All’inizio sicuramente non avevo capito cosa volesse dire fare l’inviato di guerra. Sono andato subito: ho fatto cinque giorni al confine con la Polonia dove ho assistito all’esodo dall’Ucraina della marea umana di gente che scappava e poi sono stato dentro, in Ucraina, per 97 giorni, dalla fine di febbraio a giugno. A livello umano, personale e professionale è qualcosa che non ci si dimentica. Io l’ho fatto accettando molto a cuor leggero il fatto che potessi morire. Adesso ci penserei di più. Mentre realizzavamo i nostri servizi, siamo rimasti coinvolti negli attacchi a fuoco: ci hanno sparato con i razzi e siamo rimasti sotto gli elicotteri durante un attacco. Oggi è un’esperienza che non valuterei più così a cuor leggero perché mi rendo conto che è un grande tributo che ho chiesto alla mia famiglia.
Con Agorà Estate per la prima volta ti trovi alla conduzione di un programma. È un passaggio definitivo quello alla conduzione o non escludi di tornare a fare l’inviato?
Onestamente non lo so. Intanto devo ringraziare il direttore Paolo Corsini, che ha voluto credere in me e nella combinazione con una squadra così forte. Per il futuro vorrei però che una cosa non escludesse l’altra. Io rimango un inviato nell’anima: su diciotto anni in Rai per quattordici ho fatto l’inviato. Mi sento sempre inviato e credo che questo rappresenti un modo di vedere le cose, che spero in Agorà Estate si veda nella scelta, ad esempio, di dare molto spazio al racconto fuori dallo studio. Per il resto sono a disposizione dell’azienda e non lo dico con stucchevole fare burocratico.
Azienda, la Rai, che tre anni fa ti ha accolto come suo dipendente. Che cosa ha rappresentato per te l’assunzione nell’azienda per la quale lavoravi già da quindici anni?
Quando c’è stata la possibilità di vedersi riconosciuto il contratto giornalistico in Rai, non ho dubitato neanche un attimo che lo avrei fatto. Come dipendente Rai, sono passato poi a Rai News 24, una delle redazioni probabilmente più dinamiche. Mi sono dovuto abituare ai turni, che fino ad allora, nella mia carriera da precario, non avevo mai conosciuto, ma ho trovato tantissime opportunità e mi sono da subito riconosciuto nello spirito che anima la redazione.
Sei arrivato alla conduzione di Agorà Estate da giornalista interno all’azienda. Molti giornali hanno però sottolineato la tua vicinanza politica al centrodestra. Ti hanno dato fastidio queste voci?
Ci sono due aspetti in questa vicenda. In primo luogo sono un uomo libero ed esercito il mio incarico di giornalista del servizio pubblico veramente in modo libero. In Rai ho sempre goduto di una libertà che fatico ad immaginare con altri editori. Riguardo invece alle etichette, si prendono e si danno a tutti con molta leggerezza. Purtroppo è così, non ci si può infastidire.
Nelle scorse settimane in diretta hai erroneamente indicato Maurizio Gasparri come esponente di Fratelli d’Italia. Lui si è risentito di questo e ti ha invitato a studiare. L’episodio ha avuto altre ripercussioni a telecamere spente?
Tutto è montato attorno, quando il sasso è caduto nello stagno. In realtà l’episodio è subito rientrato. Con Gasparri ci siamo sentiti al termine di quella puntata: lui aveva capito che il mio era stato un lapsus e non è dunque successo assolutamente nulla. Già la settimana successiva era ospite da noi in studio.
Arrivati a metà agosto, si può fare un primo bilancio di questa esperienza alla conduzione di Agorà Estate. Come sta andando?
Direi bene. Abbiamo fatto una scelta precisa: pur avendo assoluta libertà sui temi, abbiamo deciso di mantenere l’ancora sulla politica. Il nostro faro è il pluralismo e la necessità di dare informazione ai telespettatori, che si stanno dimostrando fedeli. A questo si accompagna la responsabilità di condurre una trasmissione che rappresenta uno dei brand informativi dell’azienda più importanti.
All’orizzonte cosa vedi per il tuo avvenire professionale?
Innanzitutto vedo delle ferie (ride, ndr). Mi piacerebbe poi confrontarmi con un programma d’approfondimento in cui si riescano a sviscerare i temi, dialogando in una logica diversa da quella del talk.