Lo stato delle cose è per lo più lo stato della nostra triste politica: un esordio che si salva a metà
Gli aggiornamenti dal Libano restano sullo sfondo del debutto di Lo stato delle cose. La recensione del nuovo programma di Massimo Giletti.
Ha esordito in una serata particolare il nuovo programma di Massimo Giletti, Lo stato delle cose. Mentre iniziava la trasmissione, dal Libano arrivavano gli aggiornamenti circa i primi spostamenti via terra dell’esercito israeliano all’interno dei confini libanesi. Giletti, in una breve presentazione partita “a schiaffo” rispetto alla fine di Un posto al sole, ha accennato ai fatti del Medio Oriente. Questi, però, non sono mai finiti al centro della puntata, mentre in contemporanea Tg2 Post si allungava e il Tg1 irrompeva con una straordinaria.
Lo stato delle cose non ha cambiato la propria scaletta, anche dopo che la copertura sulle altre reti generaliste Rai era cessata. Una scelta precisa quella condotta da Giletti, che ha dedicato solo alcune finestre agli aggiornamenti dal Libano, sfruttando Daniele Piervincenzi, inviato per Porta a Porta. Per il debutto, infatti, il menù di serata si presentava ricco di politica italiana. Dopo l’apertura con Matteo Renzi e l’inevitabile discussione circa il futuro del possibile campo largo, si è passati a Roberto Vannacci.
Con il generale, ora parlamentare europeo, si è discusso di vicende politiche sia interne alla Lega sia esterne, come la vittoria dell’estrema destra in Austria. Per Vannacci, sul quale Alessio Lasta ha realizzato due diversi servizi, è arrivato poi il momento del confronto con Francesca Pascale. L’ex compagna di Silvio Berlusconi, più presente che mai queste settimane in tv, ha espresso al generale tutte le sue perplessità circa le esternazioni contenute in Il mondo al contrario.
L’acceso dibattito tra i due non ha aggiunto granché alla discussione, che si basa su contenuti osteggiati da varie parti da più di un anno. Rimasta sola, Pascale si è esposta sullo scenario della politica italiana, in particolare in riferimento a Forza Italia. La prima parte di Lo stato delle cose ha riguardato, dunque, con insistenza il solo orticello della nostra politica interna, con le sue manovre sotterranee, senza fornire sguardi che sapessero cogliere altro.
Diversa, invece, è stata la seconda parte di trasmissione, aperta da un’intervista di Giletti a Michael Cohen, ex avvocato di Trump e divenuto ora il suo accusatore. A causa sua, l’ex presidente degli Stati Uniti, oggi nuovamente candidato alla Casa Bianca, è stato condannato penalmente. L’intervista, pur non regalando particolari scoop, anche con l’aggiunta delle domande e dei commenti di Giovanna Botteri, ha permesso di allargare la prospettiva sul mondo.
In una serata di grande preoccupazione internazionale, sarebbe parsa forse più opportuna la scelta di seguire la stretta attualità per quanto riguarda gli esteri, ma almeno il programma ha cambiato approccio rispetto a una prima parte molto ombelicale.
Il miglior spazio di puntata è stato probabilmente quello dedicato alle vicende emerse circa i rapporti tra ultras e camorra. Con in collegamento Klaus Davi, Giletti ha cercato di restituire parte di quello che sta emergendo dalle carte della procura di Milano. Peccato che il tempo dedicato al caso potesse essere poco, perché la vicenda avrebbe meritato sicuramente un maggiore approfondimento.
Anche perché a seguire questo blocco è stato un ostico collegamento gestito da Ilenia Pietracalvina da un palco allestito a San Basilio (Roma). Con lei sul palco c’era Fabrizio Moro, artista simbolo per il quartiere insieme al più giovane collega Ultimo. Il cantautore, durante il collegamento, ha dimostrato a più tratti insofferenza per la modalità in cui stava venendo declinato il racconto di quel luogo.
Giletti, che aveva introdotto il tema dello spaccio della droga, ha cercato di mettere una pezza da studio, ricollegandosi ad alcune parole dello stesso Moro. Il momento, slegato rispetto a tutto il resto di programma, è parso come il giustificativo per rendere il programma meritevole della direzione Cultura. A parte lo spazio musicale regalato dal cantautore romano, infatti, nel programma sono stati assenti altri riferimenti culturali o artistici.
Fin dalla vigilia si era certi che Giletti avrebbe fatto ciò che sa fare senza stravolgersi. Certo, sorprende vederlo collocato sotto la medesima direzione di Alberto Angela. A ognuno il suo e infatti il giornalista ha scelto di non snaturarsi, offrendo al pubblico televisivo quello che da lui ci si poteva aspettare.
Tolta la scarsa attenzione riservata ai fatti riguardanti il Libano e il ripiegamento eccessivo sulle trame della politica nella prima parte, il programma di Giletti ha messo in campo una buona scaletta. Ci sono passaggi non ancora del tutto intellegibili – come il collegamento dalla periferia – ma la costruzione di Lo stato delle cose per ora risulta chiara, pur nelle criticità evidenziate.
A volte la chiarezza e la riconoscibilità di un volto e di un modo di fare tv possono essere il miglior modo per conquistare i telespettatori. Altre volte, invece, possono rappresentare il principale motivo per farli allontanare dal primo minuto, appena fiutata l’aria. Quale sarà il destino di Lo stato delle cose, potrà rivelarlo solo l’Auditel.