Little Big Italy, Francesco Panella ritrova in Oriente l’Italia più contemporanea
Little Big Italy in Oriente col ‘Panella Express’: tocchi da adventure reality, ma sapori che avvicinano a un’Italia autentica e (finalmente) contemporanea
Little Big Italy chiude la sua sesta stagione con otto puntate inedite che stanno andando in onda nel prime time del lunedì, ovviamente su Nove, e non perde un grammo della sua piacevolezza, anzi aggiunge altri sapori alla sua già equilibrata e piacevolissima ricetta. Con una prima puntata in quel di Dubai e una seconda che si affaccia in Estremo Oriente con una sfida a Kuala Lumpur, il programma si arricchisce di atmosfere – e di raccordi audiovisivi – alla Pechino Express. La locomotiva di questo viaggio in terre lontane resta sempre Francesco Panella, che da ‘eroe dei due mondi’ – vista la sua dimestichezza personale e professionale con gli USA – è ormai definitivamente un globetrotter alla ricerca dell’autentica cucina italiana, quella scevra dagli stereotipi e ricca di quella creatività capace di far assaporare la vera tradizione.
E a vedere le prime due puntate di questa seconda parte di stagione di Little Big Italy verrebbe da dire che per ritrovare l’autentica cucina italiana contemporanea bisogna allontanarsi dall’Occidente. Più si va lontano, dunque, più si trova l’Italia di oggi, Dopo anni di tovaglie a quadrettoni bianchi e rossi – tanto amate anche dalla pseudo-trattorie acchiappaturisti in Italia -, vediamo finalmente gli expat portarci in ristoranti curati, dal design contemporaneo, finalmente simili a quelli che un italiano amante della buona cucina può trovare nelle proprie città. Locali con un concept attuale, dal sapore minimalista o industrial-chic – magari stereotipato per altri versi, ma diverso da quello che solitamente si accompagna all’idea dell’Italia all’estero – fanno finalmente capolino, anzi sono predominanti nelle prime puntate di questo ciclo inedito di appuntamenti. Vediamo, dunque, concretizzarsi quella ‘speranza’ espressa con così tanta forza da Francesco Panella nella nostra ultima chiacchierata, risalente a qualche mese fa ormai, quella di dare un’idea dell’eccellenza italiana a tutto tondo, fuori dalle attese di chi è legato a una immagine da ‘Vacanze romane’. In fondo i propugnatori di una certa idea antiquata, superata, stereotipata dell’Italia siamo proprio noi, in patria e all’Estero. Ma qualcosa sta cambiando.
L’eccellenza si vede, si sente, si mangia
Di fronte ai ristoranti che si allontanano dal pattern della finta trattoria anni ’50, trasudante agli di plastica e murales vista Vesuvio, gli stessi expat avvertono la vertigine.
“Ma non mi sembra di essere in un ristorante italiano!“
dicono alcuni ospiti/concorrenti, a mo’ di critica, entrando in locali dalle candide tovaglie di lino o dai tavoli grigio ardesia con posateria dorata. Come a dire che ‘questo’ non è italiano, o meglio non è quello che ci si aspetta da un ristorante italiano. Peccato che in fondo sia quello che frequentano gli italiani in patria insieme alle pizzerie, non per forza gourmet, e ai (pochi) locali davvero storici sopravvissuti alle crisi, alle mode e ai costi. Ma questo è un altro discorso.
Le reazioni di alcuni expat, quindi, restituiscono in maniera plastica quello che noi stessi ci aspettiamo di trovare all’estero, che critichiamo ma nel quale pensiamo di riconoscere ‘casa’. Ma sono sempre il gusto e il sapore, insieme alle storie, a dare davvero l’idea di tornare, per qualche ora, tra gli affetti più cari. Perché alla fine casa è famiglia.
Tra radici e futuro: le storie sono l’ingrediente più importante
Ok, messa così, tra ‘eccellenze del Made in Italy’, nostalgia della patria ed ‘esaltazione’ della famiglia sembra che io stia parlando di un programma sovranista. Proprio l’opposto. Little Big Italy è in fondo un’ode alla contaminazione, allo scambio, all’accoglienza, al melting pot. Va bene tutto, anche la pizza con l’ananas, basta che non la si spacci per “tipico piatto italiano”. Con gli affetti non si scherza, con le nonne ancora meno. Ma la scoperta dell’altro, l’esperienza all’estero, la ricerca della propria strada, il fallimento, il riscatto sono il minimo comun denominatore per conduttore, ristoratori ed expat protagonisti di puntata: tutti hanno vissuto, in qualche modo, le stesse esperienze, tutti si ritrovano in questa dimensione di diversità e di comunità, nello stesso tempo, che passa per il cibo. E se cibo italiano deve essere, allora che lo sia, nelle consistenze, nei profumi, negli ingredienti, nel sapore, nel servizio, nell’idea stessa del ‘buon-gusto’. Ed è quello che si cerca. E che si trova apparentemente di più proprio in queste puntate dall’altra parte del mondo che in quelle tra Europa e Stati Uniti. Ecco quindi che la pasta all’uovo della nonna è la base per le creazioni di un giovane chef a Kuala Lumpur, così come la tradizione fornaia dei nonni viene fuori in una versione rivista – ma saporita – della parmigiana in una desertica Dubai. Il sapore è la guida e Francesco Panella il ‘rabdomante’.
La scrittura è servita
E’ interessante cercare di capire da dove nasca questa maggiore attenzione all’estetica e alla lotta allo stereotipo in queste nuove puntate: nel caso di Dubai il contesto luxury può essere importante e riverberarsi nelle caratteristiche degli expat selezionati, così come in Malesia può aver contribuito una maggiore distanza dall’immaginario occidentale. Di fatto il casting in queste prime puntate sembra più attento a disegnare certe dinamiche e a restiruire certi profili, più in linea con un’altra idea di Italia all’estero. Sempre ben congegnato, si è particolarmente avvalso, in questo inizio, di personalità brillanti, leali, aperte, curiose, divertite. I gretti sono sempre indigesti. Dall’altra parte la scrittura funziona sempre bene: c’è, ma non si vede. C’è nella descrizione dei contesti, nella scelta delle location, nella selezione del ristorante ‘da incubo’ che apre le puntate, nelle domande di ‘italianità’, nelle voglie fuori menù, nei confessionali, nel montaggio, nello pseudo-canovaccio delle interviste ai ristoratori e ovviamente nel casting. Ma questa ‘trasparenza’ della scrittura è merito anche della leggerezza, direi però ‘appuntita’, di Francesco Panella, che resta l’ingrediente ‘segreto’ di questo format.
Francesco Panella, primus inter pares
Panella è il primo ad aver vissuto, e a vivere, quel che i protagonisti di puntata stanno portando sul teleschermo: la scommessa, il sacrificio, la paura di non farcela, la lontananza, la nostalgia, l’impegno, la ricerca della qualità, la voglia di appropriarsi della vita, lo studio, la ricerca. Ma la sua voce, qui, è Cassazione. Però il potere che gli viene riconosciuto dai ‘colleghi’ è da lui ‘esercitato’ con un solo obiettivo: non prevalere, ma condividere esperienze.
La condivisione resta una delle parole chiave di questo programma, sotto tutti i punti di vista: gli expat condividono tavola ed esistenze, Panella condivide esperienza e palato, i ristoratori condividono storie e sacrifici. Il tutto con grande naturalezza, grazie alla curiosità conviviale di Panella: le interviste ai ristoratori riescono, con poche domande, a far emergere la fatica di generazioni, la passione per un mestiere amato grazie alla famiglia (o nonostante le famiglie), la determinazione di non deludere chi si ama. C’è un canovaccio, poi si va di curiosità. Lo stesso accade a tavola, con i protagonisti di puntata. Se poi ci si aggiunge una espressività coinvolgente e il piacere di condividere è difficile non farsi trascinare dal padrone di casa nel racconto.
Parlavo di ‘leggerezza appuntita’: ecco, Panella riesce sempre a ‘pungere’ con una battuta gli ‘ego’ che stanno per gonfiarsi, che si tratti di expat che si prendono troppo sul serio o chef che cercano di impressionare i clienti (cfr. il servizio carrellato di Dubai). Basta un sopracciglio, uno sguardo, un sorriso di Panella per ‘sgamare’ – e neutralizzare – chi pecca di presunzione: la risata riporta tutti sullo stesso piano e crea complicità. E’ uno degli ingredienti irripetibili di questo format. A Panella non gliela si fa, e soprattutto non serve. Se vuoi stare a questo tavolo devi ‘parlare (essere, comportarti) come mangi’: autentico.
“Posso assicurarvi una cosa, ragazzi: chi ha avuto paura di perdere tutto e riesce a ottenere qualcosa, terrà stretto quella che ha costruito, più forte di quanto possano fare gli altri “
dice Panella a Claudia e Domenico, da Ercolano a Dubai per farsi una vita. Little Big Italy è, e resta, anche questo: un piacevole intrattenimento, che fa conoscere storie comuni e straordinarie ed è anche un’ode all’impegno, una vetrina sulla fatica senza pedanteria. Una dimostrazione di come i followers non bastino, il piatto instagrammabile deve avere anche peso, sostanza e qualità. Una finestra sul lavoro e anche su quei giovani ‘choosy’, di un tempo e di oggi, che hanno lasciato casa per trovare una propria strada. Noi le esploriamo con i piatti che ci propongono gli expat, ci preparano i ristoratori e ci racconta Panella. E siamo pronti per un altro viaggio.