L’Infiltrato funziona: la docufiction sulla Santa Rita fa concorrenza ai reportage
L’Infiltrato – Operazione Clinica degli Orrori ha ricostruito le indagini sulla Clinica Santa Rita di Milano, mostrando il lavoro dei PM e mettendo in scena i verbali degli interrogatori. La formula convince e funziona.
L’Infiltrato mi ha spiazzato, lo confesso. L’Operazione Clinica degli orrori, sulla Santa Rita di Milano, è riuscita, almeno a mio avviso. Devo dire che la struttura e la confezione della docufiction prodotta dalla Verve Company per Rai 3 mi ha convinto. E onestamente non me l’aspettavo.
Il promo mi aveva lasciata perplessa (e lo potete rivedere qui). Uno dei casi in cui il promo non promuove ma rischia di affossare. Mi sembrava una raffazzonata e pretestuosa operazione dal sapore vintage, in arrivo dai primi anni Novanta. E proprio per questo l’ho guardata: volevo capire di cosa si trattava.
L’ho trovato un prodotto ben fatto sul piano della confezione e ben costruito su quello della narrazione. E parto proprio a questo secondo aspetto.
Non era facile portare in tv il racconto delle indagini condotte da Guardia di Finanza e dalle PM Tiziana Siciliano e Grazia Pradella, ma L’Infiltrato c’è riuscito, mescolando realtà e ricostruzione con equilibrio e senza inutili sensazionalismi. Isolare materiali dal mare magnum di documenti e intercettazioni da brivido non era facile. Rendere in maniera efficace tutti i passaggi dell’indagine e dell’istruzione del processo non era scontato. Riuscire a procedere senza dare per scontato nulla, ma tornando sui passaggi più ostici per tenere desta l’attenzione del pubblico, è segno della volontà di raccontare i fatti, non suscitare pura indignazione. Cosa che, invece, segna spesso il trattamento delle notizie da parte di, più o meno, titolati programmi di informazione.
Narrazione asciutta, quindi, non caricata dalla retorica tipica della ricostruzione fictional o dalla necessità di creare eroi: sceneggiatura e messa in scena erano esclusivamente al servizio degli atti. Bastavano le intercettazioni originali a scatenare emozioni e indignazione, rabbia e impotenza. Così come è bastata una clip delle ‘vere’ PM in aula a dare l’idea della determinazione e della preparazione necessaria per incastrare i chirurghi senza scrupoli della Santa Rita. E non era facile costruire in maniera efficace anni di indagine e mesi di interrogatori, intrecciando in maniera coinvolgente la varie fasi del caso e riuscendo a rappresentarlo dai diversi punti di vista in gioco, ovvero quello della Guardia di Finanza, dei PM e di Pier Paolo Brega Massone, primario del reparto di Chirurgia Cardiotoracica della Santa Rita, condannato in primo grado all’ergastolo e primo medico riconosciuto colpevole di omicidio volontario nello svolgimento della professione.
Scrittura equilibrata e tenuta ottimamente insieme dal narratore, l’Infiltrato del titolo, che ha visto un Massimo Poggio ‘minimal’ e ben inserito nell’intreccio. Oltre alla scrittura, uno dei punti di forza, senza dubbio, è stata l’interpretazione assolutamente credibile degli attori a restituire atmosfere e tensioni negli interrogatori, creare empatia con i protagonisti spesso più misconosciuti, come la squadra di finanzieri che ha condotto le indagini. Un’empatia che passa anche dalla scelta del lessico, da una messa in scena che ‘suona’ del tutto verosimile. Asciutti ed efficaci anche i testi, all’insegna di uno stile semplice che aiuta a seguire la vicenda e i vari passaggi dell’inchiesta e della carriera di Brega Massone.
Confezione altrettanto curata nel mescolare la ‘grammatica’ tipica delle intercettazioni – dalle inquadrature proprie delle video-intercettazoni al lettering dei sottotitoli – alle forme più classiche della fiction, con la figura dell’Infiltrato a fare anche da raccordo agli aspetti visivi del passaggio tra realtà e finzione. Vederlo mentre alle sue spalle i ‘finanzieri’ portano via le carte della clinica o vederlo passeggiare nei corridoi della Procura con gli attori in scena crea il necessario ‘cortocircuito’ tra i due piani della narrazione, così come il movimento di macchina che passa da lui al prelato che va in Procura a difendere Brega Massone è una scelta di stile, votata al ritmo e all’apertura della ‘quarta parete’, che ha nell’infiltrato che guarda in camera il suo principale simulacro.
Le ricostruzioni di Annozero hanno fatto scuola. Qui però le intercettazioni sono originali: e la forza narrativa ne guadagna. In più reggerla per un prime time non era scontato.
Insomma, l’Operazione Infiltrato funziona: scrittura, interpretazione, confezione, regia, montaggio hanno restituito un programma credibile ed efficace, senza – ripeto – inutili sensazionalismi e facile indignazione, ma con la verità investigativa come unico faro. Uno dei migliori prodotti del genere, certo poco battuto in Italia in queste forme. Penso a “Sbirri” – destinato però al grande schermo – ma ho trovato questo prodotto molto più strutturato. Il caso giudiziario, del resto, ha un potenziale narrativo esplosivo, che non è stato bruciato. Più efficace di un reportage, più misurato di un servizio da talk, più drammatico di una testimonianza: sarà anche per questo che #Infiltrato è Trendig Topic su Twitter all’indomani della messa in onda. E potete rivederlo sul portale Rai.tv.
L’Infiltrato – Operazione Clinica degli Orrori