L’eredita: i segreti del successo del quiz di Raiuno
I numeri parlano chiaro: L’Eredità è un preserale di grande successo, dal 2002 fino ad oggi. Riflettiamo oggi sui motivi che ne determinano una così grande competitività. Partiamo dagli elementi più accessori: lo studio/arena è stato spesso rinnovato, elemento fondamentale per introdurre migliorie e aggiornare in termini di modernità un ambiente che vissuto per un
I numeri parlano chiaro: L’Eredità è un preserale di grande successo, dal 2002 fino ad oggi. Riflettiamo oggi sui motivi che ne determinano una così grande competitività. Partiamo dagli elementi più accessori: lo studio/arena è stato spesso rinnovato, elemento fondamentale per introdurre migliorie e aggiornare in termini di modernità un ambiente che vissuto per un intero anno sotto le telecamere viene inflazionato fino all’esaurimento.
La grafica, specie in quest’annata, ha una resa chiara e moderna. Le quattro professoresse, Sara Facciolini, Roberta Morise, Elena Ossola e Angela Tuccia (di cui vecchio video esemplificativo al fondo post), vallette che studiano e leggono senza incepparsi troppo, sono la versione un po’ più angelicata della tipica donna procace e sensuale italiana, in piena tendenza con la necessità di aggraziare e provocare con misurata esposizione. I loro nomi, ripetuti in maniera ossessiva, vengono incisi nelle nostre menti affinchè diventino familiari, dato il loro ruolo non solo di forma, ma anche di comunicazione diretta con lo spettatore.
Il gioco, nella sua costruzione originale, è particolare: non è un gioco meritocratico perchè mette a rischio eliminazione anche i concorrenti che rispondono correttamente (tranne nella manche de “La Scossa“), tramuta ogni errore nel ribaltamento totale delle somme vinte (come nel “Duello finale“) e si basa poco su domande culturali, preferendo le curiosità. In questo modo il format rimane un gioco e non “il gioco che ti cambia la vita”, dove si vince e si perde su una piattaforma che non vuole prendersi troppo sul serio. non è né selettivo, né elettivo, anche se lo vuole sembrare.
La componente che sposta il centro d’attenzione verso il gioco e meno sui soldi la conclusiva “Ghigliottina“, dove il gioco delle associazioni di gruppi di parole statisticamente permette poche vincite, quasi sempre di media entità. Se abbassi la soglia di attenzione sui soldi, il gioco diventa meno angosciante e più serenamente partecipativo. I giochi de “L’Eredità“, infatti, sono più che altro aggregativi: a partire dal “Vero o Falso“, passando alle associazioni di parole del “Domino” fino agli indizi del “Personaggio misterioso“. Le manche, con il rischio di sembrar banali, non lo diventano per il livello di graduale crescita di difficoltà delle risposte, che aumentano le possibilità d’errore e non annoiano il pubblico più acculturato.
Questo quiz non è solo un ottimo contenitore di giochi immediati e adatti alla famiglia, ma include una ben celata componente di blando reality. I sei concorrenti vengono caratterizzati da un mestiere e da un preciso luogo di provenienza e incisi a breve termine dagli aggettivi caratteriali offerti dagli accompagnatori. Fase alla quale viene dedicata una buona fetta della trasmissione, tanto lenta quanto importante. Carlo Conti, così come Amadeus quando era in Rai, sono solo marginali guide viste senza diffidenza dal pubblico, che entrano in casa educati, buonisti (ruffiani?) e trasversali. A coronare tutto questo, c’è la quasi totale assenza di pubblicità, inserita dopo i primi 40 minuti di programma e subito prima della fase finale.
L’algoritmo è privo di errori di forma. Potrebbe essere ancora più accattivante (con un sistema di gioco che porta in finale solo i più bravi e con una somma mai guadagnata per pura fortuna) e più conturbante (con qualche “generosità” più palese) ma volutamente si sceglie di non strafare, puntando tutto sulla semplicità strutturale e sull’originalità dei contenuti. Pochi quiz (e pochi giochi in generale) raggiungono un equilibrio simile: “L’Eredità” è uno di questi.