Gramellini e quei saluti che sembrano un addio: “Col canone si finanzia non solo la propria libertà, ma anche quella degli altri”
Ultima puntata de Le Parole che somiglia ad un congedo. Gramellini: “Al di là e al di sopra degli appetiti di potere dei quali è oggetto dal giorno della nascita, questa azienda è piena di lavoratori, tecnici, dirigenti straordinari”
Un saluto che sembra un congedo. Le Parole chiude la settima stagione con il coinvolgimento dell’intero cast e un applauso collettivo durante i titoli di coda difficilmente abbinabile ad un arrivederci a ottobre.
Per cogliere qualche indizio occorre affidarsi ai dettagli e soprattutto al paragone con l’ultima puntata di dodici mesi fa, quando – il 28 maggio 2022 – Massimo Gramellini uscì di scena dando l’appuntamento a dopo l’estate. Un riferimento al ritorno in onda accennato stavolta da Roberto Vecchioni (accompagnato da un “magari”), che però non è stato raccolto da nessun altro collega. E pure la presenza dello stesso cantautore per l’intero episodio, a differenza dell’anno scorso, ha generato la percezione dell’eccezionalità.
Saverio Raimondo, Giovanna Botteri, Jacopo Veneziani, gli stessi Gramellini e Vecchioni. Ciascuno di loro ha portato una sua “parola”, con la chiusura affidata ovviamente al padrone di casa, che non ha lesinato frecciate alla politica e alla sua ingerenza nella tv di Stato: “La mia parola è ‘pubblico’. In sette anni siete diventati davvero tanti, ma mai come quest’anno abbiamo avvertito l’esistenza di una connessione sentimentale. Questo programma lo sentite come una piccola parte della vostra vita, me ne accorgo quando incontro per strada qualcuno di voi. Per noi non potrebbe esistere complimento più bello. Ma ‘pubblico’ significa anche servizio pubblico. Consentitemi di ringraziare la tanto bistrattata Rai. Al di là e al di sopra degli appetiti di potere dei quali è oggetto dal giorno della nascita, questa azienda è piena di lavoratori, tecnici, dirigenti straordinari. Ho avuto la fortuna di lavorare con molti di loro”.
Spazio poi ad un una riflessione allusiva: “Un grande dirigente della Rai del passato mi disse che servizio pubblico non consiste nell’avere tutti i racconti della realtà dentro lo stesso programma, ma la possibilità di scegliere più programmi che raccontino la realtà in modo diverso. Ogni spettatore, pagando il canone, finanzia non solo la propria libertà di scelta, ma anche quella degli altri. Paga l’edicola in cui ciascuno di noi va a leggersi il giornale che vuole. Noi abbiamo l’ambizione di essere uno di quei giornali. Le Parole non è un’arena dove ci si scontra all’ultimo sangue. Assomigliamo più ad un gruppo di amici che si ritrovano il sabato sera per raccontarsi la settimana, scambiarsi delle opinioni, farsi quattro risate e, se capita, un pianto. Prima di farne uno anche adesso salutiamoci con un sorriso. Buona estate”.
Non proprio l’atteggiamento di chi se ne va in vacanza per la pausa estiva.