Gaston Zama, la miglior ‘iena’ in circolazione
Lo stile di Gaston Zama ingloba tutto ciò che la televisione generalmente ripudia: l’anonimato e l’assenza di sintesi. Eppure è lui la miglior ‘iena’ in circolazione
Potremmo sbilanciarci e incoronarlo come miglior ‘iena’ di sempre. Ma siccome il programma ha più di vent’anni, il rischio di incorrere in imperdonabili dimenticanze sarebbe altissimo. Ecco allora che ci limiteremmo a definire Gaston Zama la ‘iena’ più talentuosa di questa fase storica.
Lo stile di Zama ingloba tutto ciò che la televisione generalmente ripudia: l’anonimato e l’assenza di sintesi. Sì perché di Giorgio Romiti – questo il suo vero nome – non conosciamo quasi nulla, a partire dal volto, che qualche volta fa capolino qua e là, sempre in maniera parziale e casuale.
C’è poi la loquacità che in televisione è bandita quasi quanto il colore viola. Eppure Zama se ne frega, percorrendo un sentiero autonomo che, caso più unico che raro, è divenuto il suo tratto distintivo.
Senza viso e con un ampio spazio da coprire, Romiti si affida alla voce, altra particolarità. Dimenticatevi il timbro del doppiatore, il suo tono somiglia piuttosto a quello di un ragazzino ingenuo che si affaccia al mondo con stupore, raccogliendone tuttavia ogni minimo dettaglio, da riproporre con spietata naturalezza allo spettatore.
Le Iene tagliano, montano e cuciono, al contrario Zama parte da Adamo ed Eva. I suoi servizi sono vere e proprie mini-pellicole che quasi sempre vengono spalmate su più puntate. L’ultimo lavoro in ordine di tempo riguarda Mirko Scarcella, dipinto dai media come guru di Instagram e ‘sezionato’ lentamente da Romiti in settanta minuti di inchiesta, a cui si aggiungeranno nuovi filoni.
Chi è a casa difficilmente guarda l’orologio. Semmai lo fa alla fine, rimanendo stupito per il tempo trascorso che, in realtà, sembra volato.
Era accaduto anche con la vicenda di Chico Forti, magistralmente rispolverata dalla ‘iena’ invisibile tanto da riaccendere il dibattito in Italia. Un docufilm a episodi, culminato con l’incontro avvenuto all’interno del carcere della Florida. Prima ancora c’era stato l’esilarante tour in America con Pupo, diviso in tre categorie: Pupo e il sesso, Pupo e la cannabis, Pupo e il gioco d’azzardo. Cinquanta minuti di girato nel primo capitolo, altri cinquanta nel secondo, appena quindici nel terzo, ma solo perché il cantante ha abbandonato anzitempo il tavolo da poker evitando così di ricadere in tentazione.
Se Enrico Lucci era soprattutto mimica ed espressione – suoi marchi di fabbrica inimitabili – Zama agisce per apparente sottrazione, lasciando credere al pubblico di essere marginale in funzione della narrazione. Ma marginale non lo è affatto. E Giorgio lo sa bene.