I vent’anni di La7. Dall’ambizione di sfidare Italia 1 al dominio dilagante dei talk politici
Il 24 giugno 2001 nasceva La7, la rete che più di tutte le altre ha cambiato pelle nel corso della sua storia
Un nano come simbolo, l’arancione come colore dominante e, soprattutto, l’originaria ambizione di sfidare Italia 1, nell’ottica di una proposta fresca e giovanile.
Vent’anni, mille vite. Il 24 giugno 2001 nasceva La7, la rete che più di tutte le altre ha cambiato pelle nel corso della sua storia. Sì perché se un canale generalmente cresce, si evolve, matura, pur mantenendo una sua sostanziale identità, nel caso di La7 la metamorfosi è stata all’ordine del giorno. Imposta o voluta, subìta o rincorsa.
Quella domenica, nel corso di una cerimonia inaugurale andata in scena all’Alcatraz di Milano, fu la signora Marta, dal salotto di casa sua, a siglare l’addio ufficiale a Telemontecarlo. Al timone dello show c’erano Fabio Fazio e Luciana Littizzetto che, già prima di Che tempo che fa, avrebbero dovuto fare coppia. Avrebbero, perché il loro progetto non avrebbe mai visto la luce.
Prima serata, così si chiamava lo speciale, ospitò sul palco Jovanotti, Francesco De Gregori, Eros Ramazzotti, Geri Halliwell, ma la vera esca fu il concerto di Antonello Venditti al Circo Massimo per la vittoria della Roma, che avrebbe raggiunto il suo picco con l’annunciato e attesissimo spogliarello di Sabrina Ferilli. Gli spettatori davanti allo schermo furono oltre 2 milioni, pari al 13,7% di share. Un exploit che, tuttavia, rappresentò anche una amara illusione.
La primissima fase di La7 viene ricordata soprattutto per i giochi. Tanti, diversi, al mattino e di notte. Zengi, Puzzle Time, Mango, Sì o no. Nella memoria sono rimasti più che altro i conduttori, da Arianna Ciampoli a Jane Alexander, passando per Edoardo Stoppa e Sonia Aquino.
La doccia fredda giunse a settembre. Pochi giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle – che già aveva obbligato il canale ad un taglio differente – venne infatti ufficializzata la cancellazione del FabShow, lo spettacolo di seconda serata, in onda cinque giorni su sette, col quale Fazio avrebbe dovuto (e voluto) sfidare Porta a Porta e il Maurizio Costanzo Show.
Fu il segnale di un ridimensionamento e di un drastico cambio di rotta che si concretizzò con l’acquisizione di Telecom da parte di Marco Tronchetti Provera. Nella confusione generale, si cominciò a fare spazio con insistenza l’ipotesi di una trasformazione di La7 in una all-news in chiaro, ancor prima che Sky Tg24 nascesse e quando RaiNews24 era fruibile solo ai possessori di parabola.
Quella strada non venne mai totalmente intrapresa. Sì, nel 2002 venne battezzato Omnibus, un mega-contenitore che includeva tutto, mentre il Diario di guerra di Lerner e Ferrara, fatto partire subito dopo l’11 settembre, nel marzo seguente si trasformò in Otto e mezzo. Per il resto, a dar luce al canale rimaneva un reduce di Tmc, ovvero quel Processo di Biscardi che, almeno fino allo scandalo Calciopoli, assicurò a La7 qualche momento di gloria.
L’arrivo di Antonio Campo Dall’Orto ridiede un po’ di brio all’emittente che ingaggiò, tra gli altri, Piero Chiambretti, Daria Bignardi e Maurizio Crozza. Si imposero così Markette in seconda serata, Le Invasioni Barbariche e Crozza Italia (primo di una lunga serie di titoli differenti).
Nel novembre 2007 La7 riaprì le porte a Daniele Luttazzi, esiliato dalla tv da oltre un lustro. All’esordio Decameron totalizzò l’8% di share, mai più raggiunto nelle puntate seguenti. La bomba a orologeria scoppiò un mese dopo quando il comico prese di mira Giuliano Ferrara, volto di rete. Risultato? Trasmissione sospesa, polemiche a dirotto e dure accuse di censura a Dall’Orto.
Sempre Ferrara cedette nel settembre del 2008 la guida di Otto e mezzo a Lilli Gruber che, rientrata in anticipo da Strasburgo, condivise la primissima annata con Federico Guiglia, per poi diventare conduttrice unica del talk l’annata seguente.
Su La7 erano nel frattempo sbarcate Victoria Cabello (Victor Victoria), Geppi Cucciari (G’Day) e Ilaria D’Amico (Exit). La svolta vera, però, riguardò il tg con l’ingaggio di Enrico Mentana che nell’estate del 2010 sostituì Antonello Piroso alla direzione. Un passaggio di consegne non accolto benissimo da quest’ultimo che per l’emittente aveva – e avrebbe – firmato produzioni originali e cult come Niente di Personale e AhiPiroso.
Mentana trasformò rapidamente il marchio del telegiornale in un brand forte e identitario, varando in occasione delle amministrative del 2011 quello che sarebbe esploso come genere televisivo: la maratona elettorale. Sfide di resistenza, lunghezza, ma anche e soprattutto ammiccamenti ad un pubblico sedotto e conquistato gradualmente, tanto da rendere l’appuntamento un evento dentro l’evento.
“La tv per fighetti”, come l’aveva definita l’a.d. Giovanni Stella, aveva bisogno di una sterzata e di una rotta certa. La risposta fu, ancora una volta, l’informazione. Piazzapulita di Corrado Formigli nacque nell’autunno del 2011, in tempo per raccontare la caduta di Berlusconi e la nascita del governo tecnico.
Discorso identico per Coffee Break e soprattutto per L’Aria che tira di Myrta Merlino che, in principio – nomen omen – non era altro che un approfondimento sulla situazione economica del Paese, ‘strozzato’ dalla recessione.
L’arrivo alla direzione di Paolo Ruffini, ex di Rai3, spalancò le porte a Serena Dandini (The show must go off) e Sabina Guzzanti (Un due tre stella). La pesca nel target del terzo canale di Viale Mazzini non portò troppa fortuna, creando di fatto un doppione. Unica eccezione per Quello che (non) ho, trasmissione che Fabio Fazio – di nuovo lui – portò su La7 assieme a Roberto Saviano in seguito al rifiuto della Rai di replicare il successo di Vieni via con me. Il 14, 15 e 16 maggio 2012 la rete visse così un altro momento di gloria, toccando addirittura i 3 milioni di spettatori.
Record rimasto imbattuto per otto mesi, perché il 10 gennaio 2013 Michele Santoro e Silvio Berlusconi si ritrovarono assieme nello stesso studio. La puntata di Servizio Pubblico, preceduta da lunghe e faticose trattative tra le parti, incollò davanti al video 8,7 milioni di persone, con lo share che volò al 33,7%.
Pochi mesi dopo prese il via l’era di Urbano Cairo che arricchì il canale di personaggi pop. Arrivarono Giovanni Floris, Salvo Sottile, Rita Dalla Chiesa. Se il primo riuscì ad imporsi al martedì sera (non nel preserale dove floppò con Diciannoveequaranta), non andò allo stesso modo all’ex guida di Quarto Grado che non fu capace di riproporre lo stesso genere con Linea Gialla. Per quel che riguarda invece la Dalla Chiesa, un po’ come Fazio, il suo programma pomeridiano non venne mai varato, tagliando di fatto le gambe alla conduttrice che aveva mollato Forum proprio dopo il corteggiamento di Cairo.
Il pubblico popolare, in fin dei conti, è sempre stato il grosso limite di La7. Forse mai sedotto con convinzione, ha a sua volta reagito freddamente quando la rete ha spalancato le porte a Cristina e Benedetta Parodi, a Miss Italia e alla soap spagnola Amare per sempre che, nel pieno del boom del Segreto, portò a casa percentuali da prefisso telefonico.
L’ultimissima fase porta con sé il marchio visibile di Andrea Salerno. Nominato direttore nel 2017 ha trasferito su La7 la banda di Gazebo – programma di cui era autore – dando vita a Propaganda Live. Contemporaneamente, alla domenica sera Massimo Giletti inaugurava Non è l’Arena, riaccendendo il canale nel giorno in cui non dava segni di vita.
Non si può dire che oggi La7 non abbia un’identità. Parente lontanissima di quel neonato che si presentò al mondo il 24 giugno 2001, la rete ha al contrario maturato un’aderenza fortissima alla politica. Con talk sparati ad ogni ora del giorno e della notte, le sorti di La7 sembrano legate a doppio filo a quelle del Parlamento e di Palazzo Chigi. Un’arma a doppio taglio che regala benefici e grane a cicli alterni in una sorta di perenne ‘dipendenza esterna’. Ad ogni modo, tanti auguri La7.