La vita che volevi non è la serie che ci aspettavamo: Cotroneo e Rametta non esagerano e restano in “area fiction generalista”. La recensione
Il passaggio di Cotroneo e Rametta su Netflix non è indolore: La vita che volevi, seppur nobile nelle intenzioni di portare sul piccolo schermo il tema della transizione di genere, delude per l’estrema semplicità, pari a quella di certe fiction generaliste (ma qui siamo su ua piattaforma a pagamento)
Netflix Italia, con La vita che volevi, ci ha stupito. Peccato, però, che non lo ha fatto nel senso buono: la nuova serie di Ivan Cotroneo (anche alla regia) e Monica Rametta sorprende, sì, ma solo perché sembra un’idea pensata per Canale 5 e poi dirottata sulla piattaforma. Ecco, lo stupore di questa miniserie in sei episodi è tutto qui: un racconto che non ci aspettavamo potesse diventare una produzione originale Netflix Italia, accompagnato dal dispiacere per l’occasione sprecata.
La vita che volevi, recensione
Partiamo dai punti positivi di questa serie, che poi sono quelli che abbiamo sempre ritrovato nelle storie per il piccolo schermo della premiata ditta Cotroneo-Rametta. La vita che volevi porta in scena una storia contemporanea, che parla di transizione di genere e con protagonista un personaggio ed un’interprete (Vittoria Schisano) che conoscono bene il difficile percorso compiuto da chi non si riconosce nel proprio corpo.
Argomenti per cui dietro l’angolo c’è il rischio di cadere nella banalità e nei luoghi comuni, ma che fortunatamente la sceneggiatura evita: le scene e i dialoghi incentrati sulla transizione di genere della protagonista sono piuttosto pensati per sottolineare gli sforzi, le paure e la necessità di compiere un percorso doloroso ma fondamentale nella ricerca delle propria felicità. E Cotroneo e Rametta, nel raccontare il mondo di oggi sotto le sue varie sfaccettature, dimostrano sempre attenzione e, soprattutto rispetto.
Peccato, però, che i punti di forza de La vita che volevi finiscono qui. Perché se è vero che la storia di Gloria (la cui emotività è rafforzata dal vissuto di Schisano sulla propria pelle) evita di insistere sul vittimismo e punta piuttosto sul desiderio di affermarsi, è altrettanto vero che tutto il contorno lascia davvero perplessi.
La stessa linea narrativa principale, quella di Gloria che si ritrova ad ospitare l’amica che non vedeva da anni e i suoi figli per poi finire coinvolta in una fuga neanche troppo rocambolesca e che si risolve senza eccessivi affanni, dimostra una semplicità che non ci saremmo aspettati. Tutto sembra essere stato pensato per chiedere al pubblico il minimo sforzo possibile, mettendogli sul piatto fin dal primo episodio una serie di situazioni dall’esito facilmente prevedibile.
Ma questa è una serie Netflix, mica una fiction che va in onda alle 22:00, verrebbe da dire: eppure, vuoi per l’impronta che la produzione di Banijay Italia ha voluto lasciare alla serie (la stessa di serie come Lea-I nostri figli o Luce dei tuoi occhi, queste sì destinate alla tv generalista), vuoi per l’abitudine dei due sceneggiatori di dover scrivere serie rivolte a un pubblico ben differente da quello che usufruisce dei contenuti SVOD, La vita che volevi diventa la serie che non volevamo da due autori a cui dobbiamo delle perle del piccolo schermo come Tutti Pazzi Per Amore, La Compagnia del Cigno e Una Grande Famiglia dove, invece, si era davvero osato e abbattuto qualche paletto.
Tutto si risolve troppo in fretta e in modo troppo scontati, quasi come se la storia non volesse “esagerare” e prendere il sopravvento su quello che sarebbe dovuto essere il tema portante della vicenda, ovvero la possibilità di cominciare una nuova vita, quella tanto desiderata e sognata per anni. Ma così facendo, da qualsiasi prospettiva si guardi il prodotto finito, la delusione rimane.
E non bastano le accortezze messe qua e là da Cotroneo e Rametta per parlare il linguaggio dei nostri tempi o per sperare che il futuro possa essere più roseo per chi sogna una vita differente. La serie che volevamo non è la stessa che abbiamo trovato.