LA VIGNA TV, VENDEMMIAMO !
Avevo promesso che avrei scritto qualcosa sulla vigna. La vigna e i vignaioli sono come si sa, o non si sa, al centro di significative parabole evangeliche: ci sono le vigne e ci sono naturalmente i vignaioli che talvolta (lo dicono le parabole stesse) sono cattivi vignaioli. Il merito di avercelo ricordato tempo fa è
Avevo promesso che avrei scritto qualcosa sulla vigna. La vigna e i vignaioli sono come si sa, o non si sa, al centro di significative parabole evangeliche: ci sono le vigne e ci sono naturalmente i vignaioli che talvolta (lo dicono le parabole stesse) sono cattivi vignaioli. Il merito di avercelo ricordato tempo fa è stato di Aldo Grasso (nell’immagine), critico del Corriere della Sera.
Di lui, da lui stesso, sappiamo che è amante dei libri di cultura e riflessione religiosa di mons. Ravasi, e siamo d’accordo , ora pro nobis, amen; che è appassionato di ciclismo (maltratta appena può chi glielo sciupa da Bulbarelli agli altri commentatori tv); che tifa per il Torino , da anni fonte dei suoi dispiaceri, e non manca di farcelo sapere in diretta rubrica; che ama il vino di cui si ritiene competente, al punto da infilare nella sua rubrica quotidiana di tanto in tanto una subcritica ai vini e ai vinificatori;.
Inoltre abbiamo appreso che fa molte altre cose ancora, ad esempio lo storico e il critico di cinema quando può , proprio dal pulpito della sua vasta rubrica tv: di recente ha demolito i film di Fantozzi, giudicandoli gratificanti invece che demolitori del celebre personaggio di Villaggio (ma i comici non vincono sempre – da Totò a Sordi – facendo delle loro caricature dei veri e propri monumenti anche quando sembra il contrario?).
Non ha importanza comunque discutere con Grasso, che continuo a considerare un vecchio amico, ma è utile invece rubargli il riferimento alla vigna e ai vignaioli. Purtroppo, o non purtroppo, la tv trasforma tutti in vignaioli, sia coloro che la fanno, sia coloro che la criticano. Senza di essa, nè gli uni nè gli altri non esisterebbero, e non passerebbero alla cassa delle emittenti o dei giornali in cui si scrive.
La tv è una grande vigna dove la concorrenza per entrare di dritto o di rovescio si è fatta incandescente. I più desiderano di finirci dentro , unendosi a quanti hanno fatto della vigna tentacolare remunerativi filari di vite e ditte di vinificazione. Tutti cercano ormai di fare la “loro” vendemmia.
Il problema di fondo è : come fare per distinguersi e ricavarne il massimo profitto? Persino ambienti, piccoli o grandi, che sembrerebbero distanti ci finiscono dentro. In particolare, i vip della cultura spesso preparano l’ingresso nella vigna con impeto e molta attenzione. Un paio di casi.
Il primo è quello di Alessandro Baricco, preso di mira sui giornali da letterati a cui evidentemente non andava giù il glamour mediatico dello stesso scrittore, autore e frequentatore del video. Baricco è riuscito a lanciare una slavina sulla critica colpevole di non averlo esaurientemente criticato con argomentazioni appunto da letterati , ma lo ha liquidato con una velenosa, rapida pedata di passaggio. Una slavina-lamento che dalla prima pagina è finita nelle pagine culturali, alla radio e alla tv di tarda serata (la cultura dei fantasmi). Poi, in pochi giorni, gli strepiti si sono dissolti e le armi sono finite nelle rastrelliere. Lo scrittore comunque ha fatto il vignaiolo , allungando ed enfatizzando la vita del suo libro a suo piacimento. Non so se è stato o è un buon o cattivo vignaiolo: ma è riuscito a far sì che il Criticato – lui stesso, il Criticato con pedata- abbia “costretto” senza fatica la sfera mediatica a parlare di lui e del suo nuovo libro. Bingo.
Il secondo caso riguarda Giampiero Mughini, che conobbi nella redazione di “Paese Sera” e poi dell'”Europeo”. Ho antica simpatia per lui, e non so, e non m’importa di sapere se è ricambiata: la sfera mediatica funziona a canna aperta di gas narcisistico, meglio non farsi troppe domande.
Mughini non è un Baricco, anzi specifica che non si vanta di averlo letto ma dimostra comunque di averne notato le gesta; è un giornalista capace di passare con disinvoltura da un linguaggio all’altro, viaggiando -per tornare indietro negli anni- dalle pagine di una rivista presessantottina che se non sbaglio si intitolava “Giovane critica”, seria ma non seriosa, alle numerose apparizioni nel ventaglio infinito della proposte tv ( da “Controcampo” al “salotto” di Luciano Rispoli). In una delle sue innumerevoli passeggiate, nella rubrica “Uffà!” che appare ogni giorno sul “Foglio”, parte da Baricco per ricordare come anche lui abbia ricevuto una pedata dolorosa tra le molte prese in anni di lavoro. La pedata di un poeta, Giovanni Raboni, che una volta scrisse: “Il fatto non è che Giampiero Mughini sia talmente ripugnante. Il fatto è che ci sia qualcun altro che la pensa come lui”. Insomma, Mughini appariva a Raboni il poeta (un buon poeta?) come un essere ripugnante e oltre tutto come un perfido corruttore. Sfugge il contesto dell’occasione pedatoria, la sua ragion d’essere. Tuttavia, proprio da quelle parole affiora senza equivoci l’ennesima prova che , nella vigna della sfera mediatica (carta o video), si vendemmia volentieri l’uva che fa il vino velenoso.
Baricco batteva i critici perchè si è sentito colpito da loro come un San Sebastiano e quindi degno di alzare vittimismo santificante e gratificante. Diversa la situazione per Mughini , mai ripugnante, il quale riesce forse ad andare in tv proprio perchè ci sono molti che lo disapprovano e lo fischiano, come accade a “Controcampo”, dove ha lavorato sodo come spiritoso vignaiolo senza peli sul pallone, a parte le morbosità juventine, e ne raccoglie i grappoli. E’ un cattivo o un buon vignaiolo? Mah. Ripeto. La domanda riguarda tutti coloro che “dipendono” dalla tv, lavorandoci, criticando, scrivendone, frequentandola… La tv è un “affaire”, un giallo con regole che cambiano di continuo, ed è bella o brutta per questo. Calma, dunque. Le parabole sono state scritte prima dell’avvento del piccolo schermo. E i giudizi, alla fine dei conti, stanno a zero. Sono sicuro che anche mons. Ravasi sarebbe d’accordo.
Italo Moscati