La tv si è innamorata degli hater social
La televisione sempre più spesso ospita il lamento della vittima degli hater social: denuncia sociale o strumentalizzazione furbetta?
Quanto sono cattivi i social! Suona più o meno così l’esclamazione più in voga negli ultimi tempi in televisione. Dove spopola non soltanto il genere del monologo dolente della donna – di cui ci siamo occupati da queste parti già negli scorsi mesi e che Sabrina Ferilli ha smontato a suo modo sul palco del teatro Ariston poche sere fa – ma anche qualcosa che somiglia ad una sua declinazione, valida in questo caso per tutti i generi: il lamento della vittima degli hater social.
Funziona così, più o meno: il personaggio famoso, privilegiato e ricco sale sul palco e mostra/legge, talvolta con sdegno, talaltra con ostentata indifferenza, una serie di insulti gratuiti che ha ricevuto qua e là sui social. Frasi inopportune, sgradevoli, offensive, magari discriminatorie, che porta alla ribalta, anche se a scriverle è stato un utente fake, cioè che non corrisponde a nessuna persona reale. Alla fine del lamento arrivano, insieme, il rimprovero moraleggiante nei confronti del carnefice e l’insegnamento per chi ascolta, perché nella vita non devi farti influenzare dai giudizi altrui e perché devi continuare a credere in quello che fai, sempre. Eccetera.
Al netto della questione di merito sulla quale tra persone per bene e dotate di un minimo di buon senso è facile trovarsi d’accordo, la sensazione è che il genere televisivo del lamento della vittima degli hater social più che educare gli odiatori seriali delegittimandoli o convertendoli alla gentilezza e spronare le vittime a reagire, rischi meramente di regalare visibilità ai leoni da tastiera che, quando effettivamente esistenti, non hanno alcun interesse al dialogo e che forse andrebbero combattuti con metodi più tradizionali, tipo denunciandoli alle autorità e ignorandoli pubblicamente.
Insomma, che possa nascere qualche dubbio sulla buona fede delle operazioni televisive di questo tipo appare inevitabile, al di là dei rispettabilissimi singoli casi. Ok la solidarietà per gli insulti ricevuti, ok l’indignazione per la violenza verbale, ok il sostegno a chi soffre per i maligni giudizi altrui, ma chiediamocelo se si tratti di vera denuncia sociale e di autentica voglia di fornire utili consigli di sopravvivenza in un mondo così feroce oppure se ci sia un po’ di puzza di marketing, con una strumentalizzazione de facto di una situazione minuscola che viene furbescamente trasformata in problema macroscopico, offrendolo in pasto al grande pubblico.