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La TV e Andrea Zanzotto, il poeta che se n’è andato e che resta anche nei video

La morte di Andrea Zanzotto. E il suo ricordo attraverso le parole di Italo Moscati. E la tv.

pubblicato 19 Ottobre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 02:40

Un grande cordoglio ha circondato la morte di Andrea Zanzotto, a novant’anni (ricordato anche da Booksblog). Come suo lettore, come suo amico (lo vedevo poco), come suo “sfruttatore”, posso dire che non lo dimenticherò mai, anche senza leggere i suoi versi belli e difficili, sottili. Che la sua voce diceva con una sensibilità condita di una piacevole cantilena veneta, lui che viveva a Soligo, luogo da cui si era spostato di rado, e forse mai.
Andai io a trovarlo a Soligo, nella sua semplice e ben ordinata casa, in cui viveva con la sua simpatica e intelligente moglie che lo custodiva con ironia e rispetto.

Volevo proporgli di fare l’attore per una volta.

Erano i tempi in cui da Roma in giro per l’Italia viaggiava la moda dei festival della poesia dopo quello ultrafamoso di Castelporziano- per le presenze prestigiose di poeti anche stranieri, e per il lancio implacabile di lattine. Dopo Castelporziano ce ne furono altri festival importanti negli anni Ottanta, uno dei quali si svolse a Piazza di Siena, a Villa Borghese di Roma.

Ci andai con la troupe e una piccola macchina da presa per riprenderlo.

Lo spettacolo fu di strazio. Erano presenti bravi poeti ma la moda delle letture e delle recite all’aperto cominciava a stancare. Il pubblico era feroce, ferocissimo. Altro che lancio di bottiglie di birra e lattine di coca cola. Più che altro buuuu a non finire, invettive, salti sul palcoscenico per disturbare Iolanda Insana, Renzo Paris, Dario Bellezza e tutti o quasi.
Filmammo.

In moviola, rivedendo le immagini, mi venne un’idea di montaggio. Conservare, anzi mettere in risalto il duello tra la parola poetica e i disturbi, le interruzioni, gli scontri più plateali. Mi venne in mente anche un titolo: “Lapsus”.
Ovvero, una conversazione continuamente interrotta. La poesia come lapsus rispetto al realismo piatto. Le invasioni di scena e le aggressività non solo verbali come lapsus di chi voleva a sua volta girare a piacimento l’interruttore della luce della serata dei poeti.
Mancava qualcosa per legare le sequenze. La musica non solo rock, anche melodramma e sinfonica, non poteva bastare.
Avevo bisogno di soccorso e pensai a Zanzotto, al suo eloquio, alla sua capacità di raccontare, facendosi provocare e stimolare dalle situazioni, dalle immagini,dalle contraddizioni.

Telefonai, ebbi fortunatamente un sì, partii la piccola troupe. Girammo due giorni. Il materiale filmato, solo di sue parole, mi sembrava stupendo durante la lunga conversazione. Risentendolo , e inserendolo, mi convinse fino in fondo.
Zanzotto aveva saputo partire da Villa Borghese per fare i giro del mondo senza lasciare Soligo.
Disse ad esempio che l’Italia è un solo, unico quartiere con pochi spazi, in pratica una città spesso orrenda nelle periferie seminata di aiuole secche che erano i campi di grano sopravvissuti alla cementificazione.

Disse anche l’America aveva il suo segreto nei grandi spazi di cui ancora disponeva, ma si andavano riducendo
Una poetica, maliziosa, maligna metafora della globalizzazione, parola che sarebbe stata usata molto anni dopo.
Ma ciò che funzionava, in fondo, era il tono di Zanzotto che sembrava raccontare una sorta di favola horror, nello scenario del mondo in cui poeti sono simbolo della solitudine mai sublime.

Sarebbe bello recuperare nelle Teche Rai “Lapsus” con Andrea Zanzotto & i Poeti, gruppo rock che non tramonta. Perchè la poesia è un meraviglioso errore che ci aiuta a trasformare l’horror in cui conviviamo, e che rischiamo di non vedere più.

Italo Moscati