Si sa, nei tribunali italiani si va per le lunghissime, al punto che uno scandalo televisivo apparentemente sepolto ritorna a galla dopo ben tre anni. Era il 2009 quando La Tribù Missione India, adventure show ante litteram autoprodotto dalla Triangle di Silvio Testi (marito di Lorella Cuccarini reduce dal successo de La Talpa), veniva chiuso prima del nascere.
Mediaset dichiarava in un comunicato ufficiale che era stato “superato ogni limite ragionevole di ritardo da parte del produttore indipendente Triangle Production. E’ scaduto il termine ultimo entro il quale la produzione avrebbe dovuto mettere Mediaset in condizione di mandare in onda la trasmissione. Ma questo non è avvenuto, rendendo così oggettivamente impossibile, dopo diverse settimane di ritardo, l’inserimento di un programma di prima serata all’interno di un palinsesto già pianificato. Alla luce del grave danno subito Mediaset si riserva ogni iniziativa giudiziaria a tutela dei propri diritti”.
Il produttore, però, rispondeva a noi di TvBlog:
“Sono scioccato dalla reazione di Mediaset, azienda con la quale fino ad oggi ho sempre avuto rapporti eccellenti sotto il profilo della collaborazione. Per quello che riguarda la responsabilità dei ritardi nei permessi del programma, i visti e gli adempimenti amministrativi, questa ricade interamente su RTI. La ripartizione degli incarichi prevedeva che noi costruissimo il set in India e in Italia e scritturassimo una serie di persone (la troupe) e Mediaset si incaricasse della contrattualizzazione dei concorrenti vip. La lista finale ci è arrivata completa solo il 10 settembre e questo ha compromesso definitivamente la messa in onda. Gli episodi di Howe, il rifiuto di Lentini, la sostituzione di altri concorrenti non sono ascrivibili a Triangle”.
Ora apprendiamo che la stessa Triangle, da allora epurata dalla tv tutta, ha promosso una causa civile nei confronti di Rti chiedendo 40 milioni di euro di risarcimento per l’annullamento del reality-show. Sulla causa dovrà pronunciarsi il giudice Antonella Izzo, della nona sezione civile del tribunale di Roma. La sentenza dovrebbe essere emessa entro un mese.
Oggi c’è stata l’ultima udienza del procedimento, quella dedicata alla discussione. Da un lato i legali di Triangle Production hanno attribuito a Mediaset l’annullamento del programma, con risoluzione del contratto ritenuta illegittima, e lamentato un ingente danno costituito dall’allestimento del set in India (del quale è stata proposta al giudice la visione di un video) e dalla liquidazione di spese per 103 dipendenti, per autori, collaboratori impiegati nel territorio indiano, fornitori, strutture alberghiere, personale di sicurezza e altro.
Rti, dal canto suo rivendica che l’annullamento del programma è dipeso da responsabilità di Triangle Production e cita, tra gli altri ritardi, il mancato ottenimento di autorizzazioni dalle autorità indiane e l’assenza di un set.
Chi avrà ragione in questo scaricabarile (se Mediaset avesse la peggio, come nel caso Baila, sarebbe un colpo economico terribile)?
Una cosa è certa: guarda caso la rivendicazione arriva al ridosso del grande successo – di critica più che di pubblico – di Pechino Express, che ha raccontato l’India come Triangle avrebbe voluto fare anni fa. Con il “vantaggio”, considerabile tale nell’era dei reality, di una diretta con l’Italia in studio e di una visibilità maggiore sull’ammiraglia Mediaset.
Ironia della sorte poi vuole che il conduttore di Pechino, Emanuele Filiberto Di Savoia, dovesse partecipare come concorrente proprio a La Tribù… Chissà che non abbia portato su RaiDue quanto imparato prima di (non) partire allora.