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La televisione cannibale

C’è che uno si trascina verso il suo computer dopo due giorni di febbre e altrettanto immobilismo nel letto: talmente immobile che faceva fatica persino cambiar canale al televisore. C’è che uno, occasionalmente, si trova a ammirare, suo malgrado, la televisione del pomeriggio. L’Italia sul Due, in particolare. E scopre una delle caratteristiche più aberranti

2 Novembre 2006 00:10

C’è che uno si trascina verso il suo computer dopo due giorni di febbre e altrettanto immobilismo nel letto: talmente immobile che faceva fatica persino cambiar canale al televisore.
C’è che uno, occasionalmente, si trova a ammirare, suo malgrado, la televisione del pomeriggio. L’Italia sul Due, in particolare.
E scopre una delle caratteristiche più aberranti della post-televisione: il cannibalismo, l’autoreferenzialità, il parlarsi addosso.
Accenni di questa tendenza ci sono da sempre: maestro indiscusso e insuperabile di questa tendenza, precursore dotato di un’estetica e una coerenza proprie è Blob.
Ma quello è il livello alto. Poi c’è il basso – lo conoscemmo nella passata stagione con la Capua. Pazzi per i reality? Contenti voi -. Poi c’è l’altro, il dramma, la mediocritas nemmeno aurea: L’Italia sul Due. E’ il trionfo della televisione che campa parlando di se stessa, senza argomenti, senza vere battute anche quando il battutaro di turno (Rostagno) s’inventa una chiosa sulla Occhiena:

Forse avendo cantato nei Ricchi e Poveri si rende conto che le tragedie sono altre.

Per quanto possano essere brillanti gli ospiti, i cosiddetti opinionisti, la sostanza non cambia: il programmucolo di turno che parla di reality e si barcamena giocoforza, mostrando un Leone di Lernia che si asciuga le mutande in testa, o una lite, o possibilmente – visto che alla lunga le argomentazioni scarseggiano – il nulla. Senza saperci ridere veramente, senza l’ironia di una Gialappa’s, senza che si sappia scherzare, cannibalizzando quel poco che resta da spolpare per non farsi sopraffare dalla concorrenza. Senza essere nemmeno in grado di prendersi sul serio come si deve, senza la dignità di levarsi quel sorrisetto compiaciuto dalle labbra, che di compiaciuto non dovrebbe avere proprio niente.
Roba da farti ritornare la febbre, improvvisamente.