Siamo serie
Home Rai 1 La Storia, adattamento asciutto, fedele e che impara la lezione de L’Amica Geniale: la recensione

La Storia, adattamento asciutto, fedele e che impara la lezione de L’Amica Geniale: la recensione

Mancano gli eroi, in questo racconto che vuole però ridare dignità ai più deboli e che Archibugi dirige con rispetto e senza creare vittimismi

pubblicato 8 Gennaio 2024 aggiornato 12 Gennaio 2024 09:45

Un capolavoro della letteratura italiana che si fa (nuovamente) serie tv per il grande pubblico. Perché La Storia non è il semplice adattamento di un libro per il piccolo schermo (Raiuno e RaiPlay), ma è qualcosa di più: è il tentativo di riportare al centro dell’attenzione una narrazione differente, in cui non ci sono eroi né lieti fine garantiti, ma un’umanità ed il suo spirito di sopravvivenza che prevale su tutto.

La recensione de La Storia

Il romanzo di Elsa Morante del 1974 fece discutere anche per questo: il racconto di una donna sola con il figlio piccolo che cerca di sopravvivere in una Roma martoriata dalla guerra non genera desiderio di rivalsa o speranza, ma si limita a fare una narrazione sofferente ma mai vittimistica, capace anche di essere poetica e di svelare l’essenza della vita, intesa come forza della natura superiore a ogni stupidità commessa dall’uomo.

La trasposizione tv di Francesca Archibugi e prodotta da Picomedia cerca in ogni modo di ricordarsi dell’insegnamento fatto dall’autrice, proponendo una messa in scena che non porta alla lacrima a tutti i costi, ma percorre la vita della protagonista con semplice rassegnazione per i fatti che avvengono.

Quello di Ida Ramundo (qui interpretata da Jasmine Trinca) è percorso, sì, fatto di tappe e di incontri. Ma non un percorso di formazione: non c’è nulla da imparare dal genere di sopravvivenza che impone la guerra. Come lei, anche gli altri personaggio sono rappresentati come pedine in balìa di eventi più grandi di loro, differenti ma uguali proprio in questo.

Ci sono, certo, delle eccezioni: la crescita di Nino (un esordiente e sorprendente Francesco Zenga) da camicia nera a partigiano, ad esempio, mostra infatti che La Storia non vuole essere racconto banalmente statico, ma riuscire a creare un quadro che, nel dettagli, mostra le sue grandezze.

Archibugi è molto brava (ma lo aveva già dimostrato in passato) a entrare nelle vite delle famiglie osservandole e senza pretendere messe in scena pretestuose. Lo sguardo della sua macchina da presa non esagera con i virtuosismi, “giocando” solo là dove il racconto esce dai binari e sfocia nei flashback o nei sogni di Ida.

Va da sé che La Storia è volutamente asciutta nella messa in scena, proprio per non stravolgere la semplicità con cui Morante ha scritto le vicende della protagonista e degli altri personaggi. Proprio loro, i comprimari, in questa trasposizione diventano cittadini di un mondo, quello vissuto da Ida, in cui ognuno porta in scena il proprio modo di sopravvivere. E su, tutti, lo sguardo del piccolo Useppe (Mattia Basciani) rende tutto più semplice e al tempo stesso difficile da digerire.

La forza di quanto scritto da Morante e riproposto da Archibugi sta proprio in questa dicotomia tra semplice e complesso: un equilibrio su cui gli sceneggiatori Francesco Piccolo, Giulia Calenda e Ilaria Macchia cercano di percorrere tutto il racconto.

A vedere la versione 2024 de La Storia non si può però non pensare a quell’altra saga letteraria diventata serie tv negli ultimi anni, L’Amica Geniale (di cui Piccolo è tra gli sceneggiatori). L’impressione è che il lavoro fatto per portare sul piccolo schermo la tetralogia di Elena Ferrante sia servito da lezione per il nuovo adattamento del libro di Morante: l’attenzione al dettaglio, la cura per i personaggi non protagonisti e soprattutto la rappresentazione in chiave moderna del segreto di Ida, ovvero il fatto di essere lei stessa ebrea, svelato nella prima scena del primo episodio e capace di creare così una tensione che attraversa tutta la serie.

A 38 anni dallo sceneggiato di Luigi Comencini, La Storia torna in tv senza essere invecchiata di una virgola, ma mantenendo intatte le sue ragioni di raccontare i deboli e dare loro, se non un luogo di rivincita, la giusta dignità. Una lettura che dal 1974 ad oggi non trova motivo di rivalutazione. E se sia un bene o una triste considerazione, lo lasciamo decidere a voi.