La stoccata vincente, un viaggio del campione che onora la sport e la sua verità: la recensione
Alessio Vassallo lavora in sottrazione senza negare alla sua interpretazione dei lati spigolosi, regalando al pubblico un viaggio in cui le cadute non sono nascoste
Del valore formativo dello sport si è già parlato e scritto tanto. Del valore che può avere una fiction dove lo sport è centrale, un po’ meno. Ma semplicemente perché di produzioni che fanno dello sport il fulcro della narrazione ce ne sono poche. La stoccata vincente è una di queste, e ancora una volta abbiamo la dimostrazione che sport e fiction, quando sanno raccontare con sincerità e senza fronzoli, sono un’ottima accoppiata.
La recensione de La stoccata vincente
Lo sport è fatto di sacrifici e sudore, dunque di elementi concreti; la fiction è per definizione qualcosa di artefatto, immaginato per l’intrattenimento. Quando la fiction prende spunto dalla realtà sportiva, riesce però a contaminarsi di quella verità che rende il racconto più vivido e carismatico. Ed è quello che avviene con il film-tv di Nicola Campiotti.
La storia di Paolo Pizzo, campione di scherma e prima ancora ragazzino impaurito dalla diagnosi di un tumore che lo ha segnato a vita, ha già le basi per una sceneggiatura forte. Il film-tv non ha dovuto fare altro che seguire le tappe di quello che è un viaggio del campione, cominciato da piccolo e concretizzatosi raggiungendo il massimo riconoscimento europeo.
Un percorso di formazione, quello andato in onda su Raiuno e su RaiPlay, che riesce a differenziarsi proprio grazie all’onestà a cui abbiamo fatto cenno. La stoccata vincente non è un film-tv sull’importanza della vittoria e del farcela a tutti i costi. Piuttosto, è una rappresentazione lucida e schietta che le cadute, nello sport come nella vita, succedono, e non sempre ci si rialza immediatamente.
Forse, è quello che dice spesso lo stesso Pizzo (anche in conferenza stampa), dopo le cadute non serve sempre rimettersi subito in piedi, ma si può osservare il mondo da una prospettiva differente, per capirlo meglio, per viverlo meglio.
Ecco che, allora, Alessio Vassallo ha lavorato in sottrazione nel raffigurare la storia del protagonista, giocando anche sui suoi lati caratteriali più spigolosi e restituendo al pubblico un’interpretazione dal sapore contemporaneo, che fa dello sport un mezzo ma non una soluzione.
Ci si ritrova così davanti ad una produzione che avrebbe potuto cadere nella tentazione di giocare sull’equazione scontata dello sport come chiave per migliorarsi, ma che invece sceglie un percorso più complicato, ma che prepara il pubblico ad un finale che fa ricordo dell’importanza degli sforzi, sia in pedana che fuori da essa.