La serialità dark? Uno specchio dei tempi
La causticità terapeutica di Dr. House, la ricerca smodata di una bellezza di plastica in Nip/Tuck, la suspence mozzafiato calata nello scenario lugubre di Lost. E’ questo il nuovo metro di giudizio per stabilire la qualità di un prodotto seriale. Il truculento, l’ansiogeno, l’extra-ordinario è quello che sancisce il valore artistico di un successo televisivo.
La causticità terapeutica di Dr. House, la ricerca smodata di una bellezza di plastica in Nip/Tuck, la suspence mozzafiato calata nello scenario lugubre di Lost. E’ questo il nuovo metro di giudizio per stabilire la qualità di un prodotto seriale.
Il truculento, l’ansiogeno, l’extra-ordinario è quello che sancisce il valore artistico di un successo televisivo.
Più che un’inversione di tendenza, non sarà il frutto di un cambiamento di prospettiva?
Ai tempi in cui lo sceneggiato entrava con forza pervasiva e disarmante nelle case degli italiani, trovava ad accoglierlo un’atmosfera di predisposizione all’idillio e al didascalismo.
Ora, invece, privi di certezze e di fiducia nei sentimenti come siamo, ci muoviamo guardinghi, come i reduci di un naufragio che tentano di sopravvivere. Tentiamo un distacco dalle persone e il pieno controllo delle nostre sensazioni, commentando la vita con frasi taglienti che ci rendono caustici e per questo più affascinanti.
Il buonismo, nella finzione come nella realtà, non paga più. E’ sinonimo di ipocrisia, mentre a funzionare è il fascino del maledetto, la verità della sofferenza, il bello dell’essere dannato.
E’ per questo che ci piacciono i telefilm americani, perchè rappresentano una condizione tipica dell’uomo medio contemporaneo: scettico, disilluso, pronto a sfogare il proprio humour su Internet e a disprezzare la famigliola felice dello spot pubblicitario.
Con questo non è detto che siamo infelici, frustrati o invidiosi.
E’ semplicemente che preferiamo uno come House, che ci dice le cose come sono senza darci troppe speranze, piuttosto che un Ettore Bassi e una Vittoria Belvedere nei loro rassicuranti camici bianchi.
Sarà un umorismo pirandelliano di ritorno, che ci spinge a intristirci con un finale strappalacrime alla Butta La Luna piuttosto che con una massima al vetriolo di Hugh Laurie?
O, forse, ci manca uno come Totò, che sia in grado di farci ridere di gusto con il cuore e con la testa…