La Questione Femminile su RaiPlay, oltre l’8 marzo
Da La donna che lavora del 1959 a La Questione Femminile del 1976, pasando per Avanzi e Le Ragazze: rispettare le donne vuol dire ascoltarle
La Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne è passata e quindi ci sembra il momento giusto per segnalare contenuti che aiutino a capire cosa vuol dire ‘rispettare’ le donne e ‘omaggiarle’ tutti i giorni al di là delle ricorrenze il più delle volte di facciata.
Tra le proposte di RaiPlay per l’8 marzo c’è l’intero ciclo de La questione femminile: 10 mini-inchieste da 25′ circa, ciascuna dedicata a un aspetto della vita delle donne in Italia, inserite come rubrica nel programma “Sapere” in onda dal febbraio 1976. Una sorta di approfondimento, nato per dar voce alle donne, che si conferma di straordinaria attualità, anzi direi ‘avveniristico’ considerata la quantità di retorica che invade la ‘narrazione’ del femminile oggi. Qui il microfono è lasciato ai racconti personali, che appaiono straordinariamente liberi, lontani dal conformismo di oggi, poco attenti all”opportunità’ dell’immagine da restituire ai terzi quanto concentrati sull’importanza di superare gabbie e barriere. E di raccontare le cose come stanno, come quella di dover lasciare i figli dalle nonne per andare a lavorare perché non ci sono asili pubblici e quelli privati costano molto. 40 anni fa, come oggi.
Dieci puntate che spaziano tra l’educazione e il ruolo sociale, tra il femminismo che si imponeva sulla scena politica e sociale e il ‘vessillo’ dell’emancipazione, che regala ritratti di donna che oggi sembrano schiacciati da un perbenismo imperante.
La donna negli anni ’60
Basta una piccola ricerca online per recuperare altre perle che aiutano a ripercorrere ‘la questione femminile’ almeno per come è stata raccontata in tv. E allora segnaliamo questo estratto da una storica puntata di Tv7 del 14 giugno 1965 in cui si legano tanti diversi aspetti dell’essere donna negli anni del boom, dalla single a Milano (un coraggioso fenomeno da segnalare che ancora oggi spesso scatena domande sul “Ma come fai? Non hai paura?” etc) alle ‘casalinghe di ritorno‘, impiegate nelle fabbriche nel dopoguerra e fino all’esplosione del boom economico, e poi costrette a tornare a casa per mancanza di lavoro.
La donna che lavora, 1959
C’è poi il capolavoro, ovvero La donna che lavora, un ciclo di 9 appuntamenti, anche questi di circa mezz’ora ciascuno e sempre disponibile su RaiPlay, che tratteggia la ‘questione femminile’ sul finire degli anni ’50. Potranno sembrare puntate ‘brevi’, ma l’inchiesta di Ugo Zatterin e Giovanni Salvi è di una densità ancora oggi insuperata. Un viaggio nel tempo che riesce a farci percepire i miglioramenti ‘conquistati’, ma che ci fa capire nello stesso tempo che molto è rimasto come allora, soprattutto nella cultura dominante, nel modo di pensare degli italiani, siano essi uomini o donne. E, cosa più grave, mostra anche come la questione femminile fosse molto più urgente per la politica di allora di quanto non lo sia per quella di oggi.
‘La questione femminile’ negli ultimi 40 anni in tv
Più che alle inchieste, che sembrano svanite o che sono sempre più figlie di interessi specifici, il racconto del femminile dagli anni ’80 a oggi sembra essere passato più dalla satira che dal giornalismo. Difficile non pensare alla squadra della Dandini, da Tunnel ad Avanzi, passando ovviamente per La tv delle Ragazze. Gli anni ’80/’90 hanno paradossalmente complicato ancor di più il pane per le donne, tra la difficoltà di misurarsi con un mondo del lavoro al quale ormai potevano accedere da qualificate, e quindi con ambizioni di carriera ma che le vedeva inevitabilmente subordinate, e la necessità di rispondere al ruolo ancora imposto dalla società. Resta un cult il finto spot con Angela Finocchiaro e Stefano Masciarelli ormai noto come “La donna perfetta”: correva l’anno 1991 ed è ancora oggi validissimo.
Dello stesso tenore, e sempre attualissimo, anche La tv delle Ragazze – Gli stati generali, del 2018. Una fotografia del Terzo millennio, almeno in Italia, che non ‘sfigura’ accanto alle testimonianze di quelle che ormai sono le nonne, o le bisnonne, raccontate da Zatterin. Il ‘tipico’ colloquio di lavoro è portato in scena da Anna Foglietta e Fabio Troiano. Talmente comune che fa ‘titolone’ il datore di lavoro che firma il contratto a una donna incinta.
Ma per avere il senso delle trasformazioni avvenute o ancora attese, così come delle ‘retrocessioni’ vissute tra Novecento e Duemila, e soprattutto per avere contezza quasi fisica delle donne al di là della tradizionale narrazione sociale tra sante e puttane nella quale sono da sempre strette, c’è sempre Le ragazze da guardare. Le ragazze del ’46, quelle del diritto di voto, della guerra, delle staffette partigiane, che si erano liberate dal nazifascismo e dall’ideale di ‘madri della (e per la) patria’, restano un patrimonio da far girare nelle scuole. E poi ci sono i racconti de Le ragazze ‘comuni’, quelle che hanno vissuto dentro e fuori gli schemi, che hanno immaginato le loro vite in tanti modi diversi, opposti, ma accomunati dal desiderio di essere qualcosa.
Quel che si racconta oggi delle donne, invece, ha il sapore della restaurazione, dell’oscurantismo. Più che il ‘racconto’ stupisce il silenzio sulla condizione femminile e stupisce soprattutto la mancanza di politiche degne di questo nome. E siamo anche capaci di fare la morale agli altri, che siano di là dalle Alpi o oltre il Mediterraneo…
Magari un giro su Rai Teche e RaiPlay potrebbe aiutare.