Home Notizie La fine del calendario Maya e del mondo (come lo conosciamo). Non è successo niente, ma si dimette Monti

La fine del calendario Maya e del mondo (come lo conosciamo). Non è successo niente, ma si dimette Monti

Tutto sulla fine del mondo che non c’è.

pubblicato 21 Dicembre 2012 aggiornato 3 Settembre 2020 23:10

A fare un live della presunta (e non sopraggiunta) fine del mondo, bisognerebbe aggiungere un appunto al “non è successo niente”. Stasera si dimetterà Mario Monti. In realtà, anche in questo caso la notizia è vecchia e affonda le sue radici nelle giornate precedenti. Semplicemente, si concretizzerà stasera. E quindi, finirà il governo tecnico così come lo conosciamo.

E’ arrivato persino il Doodle di Google a celebrare la fine del calendario Maya e dunque, secondo molti, la fine del mondo («come lo conosciamo», direbbe Crozza in versione Casaleggio. O forse lo direbbe anche lo stesso Casaleggio). Solo che, a guardarci bene bene intorno, scopriremo una cosa a dir poco straordinaria: il mondo non è finito.

E’ sempre lì, vivo e vegeto, come sono vive e vegete le persone che lo popolano dentro e fuori dalla tv.

La tv, già. Ha deciso persino di celebrare con uno speciale la presunta fine del mondo. Che poi, se fosse finito sul serio, non l’avrebbe visto nessuno, il programma. Invece ha raccolto un po’ di audience, a dimostrazione del fatto che siamo un popolo di santi, navigatori, bla-bla-bla, e di superstiziosi. E a dimostrazione del fatto che la superstizione non serve a niente. D’altro canto, negli altri paesi (Gran Bretagna a parte: si vede che gli inglesi e gli italiani si assomigliano) mica ce l’hanno il Google Doodle dedicato.

Ma non giriamoci intorno: cosa finisce, oggi? Cosa ricomincia? Quale ciclo si chiude per ricominciare con più energia, con più entusiasmo?

All’orizzonte non è che si intraveda molto di interessante. Il vecchio che avanza e di cui ci lamentiamo tutti – salvo poi celebrarlo alla prima occasione – permea la nostra tv e la nostra vita quotidiana. Attoniti, assistiamo alla campagna elettorale televisiva di un mondo vecchio di quasi vent’anni (però senza che la terra abbia iniziato a ruotare al contrario).



Ci beiamo della social tv e del commento su Twitter (la verità è che chi commenta socialmente su Twitter oggi era il commentatore del liveblogging di ieri), gridiamo al nuovo quando il nuovo non esiste e, di fronte al fatto che altri paesi (prendiamo lo UK, visto che l’abbiam citato prima) producano piccoli capolavori televisivi come Black Mirror (la cui visione, soprattutto del secondo episodio, dovrebbe essere obbligatoria a scuola, mi scriveva un amico con cui condivido saltuariamente considerazioni apocalittiche e integrate) restiamo lì, attoniti, indietro di vent’anni o più. Come in politica?

Persino Mario Monti, che nuovo non è eppure come nuovo si candida (non era nuovo nemmeno l’anno scorso, ma l’Italia addormentata da un qualche sortilegio – altro che l’apocalisse – non se n’era accorta) alle prossime elezioni politiche, riesce a scherzar sui Maya.

Come al solito, però, non è successo niente.

Se non che questa volta il giornalismo, ovvero quella cosa per cui una catastrofe è una notizia, un disagio o un disservizio quotidiani sono la normalità, si è interessato a qualcosa che non è successo. Pronto a cavalcare anche il minimo terremotino, la minima presenza anomala di locuste.

D’altro canto, l’impressione è che da tempo, da molto tempo, non succeda niente. Anche nell’annata televisiva che ci stiamo lasciando alle spalle è successo poco o niente. Forse è successo che non sono risorte le idee (erano già morte da tempo). Che qualcuno si è riciclato o riposizionato. Che gli appunti sparsi per quello che avrebbe dovuto essere un editoriale di fine anno per TvBlog si perdono nella quantità di cose da dire che sembrano sempre troppo uguali a loro stesse: perché una televisione che non cambia non lascia spazio a critiche nuove.

E lo sanno bene tutti coloro che in tv ci lavorano e che provano a infilare anche dentro quel lavoro un po’ di amore e di professionalità: quelle frasi lì, che circolano di redazione in redazione, di produzione in produzione. «Sento la necessità», «poi a casa non capiscono», «mettiamo musica riconoscibile», «semplifica il montaggio», «sottolineiamo il concetto con un sottopancia», «semplifica, semplifica, semplifica», «è troppo forte», «ricordiamo cos’è successo», e tutte quelle amenità che si sentono dire quando si radunano le persone che per mestiere riempiono di contenuti quell’elettrodomestico che si è appiattito e ora è pure 3d e smart.

Il mezzo è cambiato, se non altro nella sua periferica. Ma nei contenuti non è successo niente: la musica non è cambiata, e visto che non è successo niente non si vede perché non concedersi uno sproloquio da blogger vecchia maniera (quando ho cominciato da queste parti, per molti il blog era un mezzo per arrivare alla carta stampata o magari alla tv, adesso sono la carta stampata e la tv che vogliono fare, controllare, essere blog), che non va a parare da nessuna parte. Semplicemente perché non c’è nessun posto dove andare a parare.

Speriamo che passi in fretta anche questa febbre da Maya, così potremo concentrarci presto sulla prossima profezia catastrofista.