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La Corrida, se il pubblico viola il codice tv

Il pubblico deborda, viola le regole e ‘cambia’ lo show.

pubblicato 27 Aprile 2019 aggiornato 30 Agosto 2020 20:54

Ai conduttori degli anni ’10 il pubblico piace vivace, urlante, agitato, così come lo aveva immaginato Renzo Arbore in Indietro Tutta. A stuzzicarlo il più delle volte ci pensa lo studio stesso, con animatori e capi claque, ma se riunisci un bel po’ di ruspante pubblico popolare armato di coperchi, padelle, fischietti, trombette da stadio e moka parlanti, e aggiungi un pizzico di quell’ormai consueto tasso di confidenza e di bassa formalità tra ruoli – sdoganato dalla percezione da social e cavalcato da certa politica – il rischio di straripamento dagli alvei dettati dal codice televisivo cresce in maniera direttamente proporzionale al grado di familiarità che il conduttore ha col proprio pubblico.

E così si finisce per dover fare i conti, almeno a casa, con un pubblico che fa dei propri strumenti un uso ‘indisciplinato’, servendosene per manifestare apertamente sia un eventuale apprezzamento per il concorrente prima ancora della sua esibizione, ma più spesso la propria noia nei suoi confronti e per la sua presentazione, nei contenuti e nei tempi.

Il fenomeno mi è apparso particolarmente evidente nella puntata de La Corrida di ieri, venerdì 26 aprile 2019 (che potete rivedere integralmente su RaiPlay), con un Carlo Conti che ha dovuto tenere a bada non solo una pletora di concorrenti sempre più fuori dal comune, ma anche un pubblico fuori dalle regole de La Corrida. Nel corso della serata, infatti, la platea ci ha preso gusto  a fischiare un concorrente prima ancora dell’esibizione per dar voce alla propria impazienza e ha fatto dei fischietti un modo per contestare non solo il concorrente (sempre più debole ed esposto all’altrui ludibrio più che coraggioso coltivatore di goliardia), ma anche la costruzione narrativa del programma.

Il pubblico della Corrida, si sa, cambia ogni settimana, raccogliendo bus di (spesso) attempati signori di varie province italiane. Quello di ieri è parso il più indisciplinato degli ultimi 33 anni, anche se il ricordo che ho delle Corride originali tende a sbiadire col tempo. Un pubblico che tenderei a definire strabordante (per non mettere in mezzo l’educazione), insofferente anche ai richiami dei conduttore che si è appellato al regolamento per ricordare ai presenti che non ci si può esprimere prima del semaforo verde. Una regola a tutela del concorrente e anche dello spettatore a casa, che altrimenti si sente tagliato fuori da uno spettacolo in cui se la cantano e se la fischiano in studio.

Una regola di cortesia, verrebbe da aggiungere, una norma di rispetto per chi si mette in gioco in pubblico (più o meno consapevole delle proprie forze e delle forze in gioco), ma che sembra svanire di fronte a una sempre più crescente svalutazione della regola da seguire, vista come un obbligo e non come una forma di rispetto. E così il pubblico, uno dei ruoli fondamentali nel racconto de La Corrida, si ‘ribella’ al copione, lo supera, viola il codice tv, ne modifica il linguaggio, lo forza cercando più spazio per sé, in maniera prepotente, da ‘bulletti’. Lo si è visto ieri nella presentazione di Donato Principe, durata oltre 5 minuti, e nella, seppur breve, presentazione di Pinuccio Capuano.

E sì che La Corrida ha in sé un vago sentore di goliardico bullismo nel lanciare alla mercé di sanguinari toreri concorrenti che spesso hanno corna spuntate. Ma è anche vero che la Corrida originale sapeva mostrare l’onore delle armi a chiunque si fosse presentato al giudizio del ‘feroce’ pubblico tributando, comunque andasse, un caloroso applauso al toro che aveva onestamente combattuto. Ricordo una raccomandazione di Corrado in una delle primissime puntate del programma tv, se non ricordo male, nella quale rendeva obbligatorio al pubblico, ma col garbo che gli era proprio, l’applauso conclusivo. Una ‘grazia’ che non è stata concessa, ad esempio, neanche ad Alfonso Giordano, 74 anni, che pur aveva chiesto, con gran tenerezza, di giudicare il testo della sua composizione più che la sua simpatia, senza però ottenere gran comprensione dal pubblico e per certi versi neanche dalla regia che ha contrappuntato la sua esibizione con l’immagine di una ragazza dormiente in platea.

Lungi da noi insegnare il programma a chi lo fa. Al massimo registriamo una sensazione, quella di una progressiva perdita delle comuni regole della costruzione tv. Il pubblico ‘bulletto’ andrebbe riportato alla regola. La tv è un rito, ha i suoi sacerdoti, le sue vittime, i suoi carnefici, i suoi salvatori e ciascuno deve saper giocare il proprio ruolo. Tanto più quando c’è di mezzo la buona volontà di una persona.