Home Netflix La caduta della casa degli Usher, l’omaggio di Mike Flanagan a Edgar Allan Poe brilla solo nel finale: la recensione

La caduta della casa degli Usher, l’omaggio di Mike Flanagan a Edgar Allan Poe brilla solo nel finale: la recensione

Mike Flanagan tira le somme della sua collaborazione con Netflix, omaggiando il fondatore dell’horror con una storia che trova il suo verso senso solo nel finale ma lasciando nel mezzo episodi non particolarmente brillanti

13 Ottobre 2023 15:14

L’impressione, a vedere La caduta della casa degli Usher disponibile su Netflix, è che Mike Flanagan avesse sempre avuto in mente una serie tv come questa. Così, dopo aver soddisfatto le richieste della piattaforma con le due storie di “The Haunting of…”, Midnight Mass e The Midnight Club, l’autore e regista è passato alla cassa ed ha ottenuto quello che voleva: una trasposizione in chiave moderna del pensiero di Edgar Allan Poe, tra suspence, ossessioni ed uno sguardo critico sull’essere umano.

La caduta della casa degli Usher, la recensione

Più che una serie, un lungo omaggio

Ancora una volta, Flanagan confezione per Netflix un progetto che va oltre il semplice racconto dell’orrore, ma che vuole essere una rivisitazione. Non più, però, di un solo racconto: La caduta della casa degli Usher parte sì dall’omonima storia di Poe e dei due fratelli Roderick e Madeline Usher, ma si sviluppa citando e riprendendo alcune delle opere più note dell’autore, da “Il cuore rivelatore” a “Tamerlane”, da “La sepoltura prematura” a “Gli occhiali”, da “La maschera della morte rossa” a “I delitti della Rue Morgue”, da “Annabel Lee” ad “Il pozzo e il pendolo”. E se i titoli degli episodi stessi non bastassero a rivelare questa intenzione, basterebbe verificare i nomi di alcuni dei personaggi della serie, anch’essi tratti dall’immaginario dello scrittore.

Una serie tv che per un buon 80% è un vero e proprio omaggio ad Edgar Allan Poe, nonché un esercizio di stile che vuole sottolineare come le sue opere ancora oggi possano essere attuali e capaci, con i dovuti aggiustamenti, di suscitare paura tra il pubblico.

Nella “collezione Flanagan” di Netflix non poteva dunque mancare un progetto come questo, che facesse incontra uno dei più attenti autori dell’horror di oggi con il fondatore del genere: le origini che incontrano l’evoluzione.

Ma c’è qualcosa che non va…

Quella che potrebbe essere dunque considerata la serie finale dell’operazione Flanagan su Netflix (il condizionale è d’obbligo, perché non è stato annunciato da nessuna parte che la collaborazione tra i regista e la piattaforma si concluderà qui), però, non può essere considerata anche il suo apice. In poche parole: La caduta della casa degli Usher non è la migliore serie di Mike Flanagan realizzata per Netflix.

Se apparentemente lo svolgimento della trama appare perfetto, senza sbavature e senza alcun buco di trama, resta comunque l’insoddisfazione, soprattutto fino ai penultimi episodi. Ci spieghiamo: il “format” de La caduta della casa degli Usher appare chiaro fin dalla prima puntata, quando apprendiamo che il protagonista Roderick (Bruce Greenwood) ha perso tutti i suoi figli in circostanze tragiche, a breve distanza l’uno dall’altro ed apparentemente scollegate tra di loro.

Fino al penultimo episodio la serie si sofferma dunque sulla morte di ciascuno dei figli di Roderick, ispirandosi ai racconti di Poe ed alternando il presente del racconto al passato del protagonista e della sorella, svelando di volta in volta il rapporto con la misteriosa figura interpretata da Carla Gugino. Uno schema che si ripete e che, se da una parte stimola la curiosità del “come” sono morti i figli di Roderick, di fatto fanno avanzare la trama molto lentamente.

Perché, a fine visione della serie, ci rendiamo conto che la storia raccontata da Flanagan è estremamente semplice, frutto di una decisione presa una notte di Capodanno di anni prima, e di cui ora i due fratelli al centro della storia pagano le conseguenze. E a risentirne è anche il pathos della storia in generale, al netto di alcune scene molto ben fatte che regalano al pubblico attimi di inquietudine e spavento.

Sacrificio e avidità: la caduta dell’umanità

E poi c’è il finale. L’episodio, a nostro parere, più intenso e carico di emozioni, sebbene sia quello in cui l’elemento horror viene meno. Dopo aver svelato la fine della progenie degli Usher, non resta che concentrarsi su coloro da cui tutto è iniziato, Roderick e Madeline (Mary McDonnell).

Ecco che, dunque, nel riportarci indietro a dove i due fratelli avevano deciso di dare una svolta alla loro vita, i pezzi della storia si uniscono, finalmente. Il nocciolo vero della serie sta nel primo e nell’ultimo episodio: in mezzo c’è solo il gusto di intrattenere il pubblico con scene che rispettino i canoni del genere (ma in giro c’è di meglio).

Scopriamo così che La caduta della casa degli Usher è una favola nera sulla sorte del genere umano, la cui evoluzione invece che renderlo migliore ne ha solo tirato fuori i tratti peggiori e maligni. Se ad una prima analisi potremmo pensare che questa storia sia circoscritta alla famiglia Usher, ben presto ci rendiamo conto che l’idea di Flanagan (come già fatto con Midnight Mass) è quella di puntare il dito sulle ipocrisie in cui ci immergiamo ogni giorno e sui desideri apparentemente irrinunciabili che ci rendono spietati gli uni con gli altri.

Il finale della serie è magnetico, cinico e tristemente coerente con i tempi che viviamo, in cui l’egoismo diventa un mostro che pretendere di divorare anche i barlumi di speranza che ogni tanto si accendono nel mondo. Flanagan, ancora una volta, non si limita a fare un horror e basta, ma cerca di spaventare il pubblico facendolo guardare allo specchio. Ma quando ci riesce, è passato troppo tempo dalla partenza della serie.

Netflix