La boria della Borromeo e il reality della politica
Se dovessimo riassumere la storia di Anno Zero, che ha appena un anno di vita ma già tante crociate all’attivo, troveremmo un fil rouge invisibile a legare i vari nodi della scaletta. In una stagione in cui la tv generalista viene definita riscaldata e Sky Vivo che la emula è ormai dato per morto, c’è
Se dovessimo riassumere la storia di Anno Zero, che ha appena un anno di vita ma già tante crociate all’attivo, troveremmo un fil rouge invisibile a legare i vari nodi della scaletta.
In una stagione in cui la tv generalista viene definita riscaldata e Sky Vivo che la emula è ormai dato per morto, c’è un solo format autoprodotto e senza degne imitazioni che veleggia spedito in un mare piatto come una tavola. E questo format è Michele Santoro.
Santoro si è reincarnato nella tv di nuova generazione sposandone a pieno il diktat “di grido”, giocato sullo strillo e all’occorrenza anche su Grillo. Uno stile notoriamente sensazionale, il suo, che si è mischiato sapientamente con il neo-sensazionalismo da reality-show.
Santoro sa bene che l’inchiesta fine a se stessa, al giorno d’oggi, non basta; non a caso ha appena ritrovato la sua vena di denuncia degli anni d’oro di Samarcanda, oscurando l’asettico documentario con l’acceso e consueto dibattito in studio.
Come nasce il ritorno del giornalista più provocatorio d’Italia?
Parte con il promo che sfotte le nomination dei reality per farsi a sua volta nominare dai media.
Si presenta in video con i boccoli giallo canarino per competere con il nuovo look di Simona Ventura.
E, dulcis in fundo, si fa affiancare da una stagista in erba predestinata alla polemica, che contempla in sé il sex-appeal della starlette alle prime armi e la dignità della rampolla di buona famiglia. Ovvero Beatrice Borromeo, qui ritratta in una foto con Lele Mora che ne racchiude un po’ il dilemma tra l’essere modaiola e l’apparire intelligente. Una a cui non puoi dare della squinzia qualunque grazie all’alibi dei nobili natali, ma che nella sua essenza televisiva sfrutta l’ennesimo richiamo voyeur. Della serie, sei bella giovane e famosa e lasciamo al pubblico il dubbio se oltre le gambe c’è di più.
Questa stessa contessina, ultimamente apostrofata come velinista da un Clemente Mastella finito nell’occhio del ciclone santoriano, ormai va a dichiarare a sinistra e a manca di voler fare la giornalista politica, perché grazie alla fiducia del suo pigmalione ora si sente pronta a buttarsi in pista e a dimostrare di essere una fucina di idee.
Il suo forum Generazione Zero è ciò di cui va più fiera perché le permette di fare qualcosa di concreto per i giovani, quegli stessi giovani che a suo parere dovrebbero sbarazzarci dei vecchi come Andreotti.
Un’espressione così sacrilega era reperibile fino a qualche giorno fa in un video di Youtube purtroppo rimosso, che la vedeva prendere sonori rimbrotti da Giampiero Mughini, in una puntata di Cominciamo Bene Estate, per la sua mancanza di rispetto verso una figura politica così veneranda e lucida.
Tutto questo è frutto di quel diabolico e lungimirante stratega del conduttore, che ha precorso i tempi della realitudine con un talk brevettato come il reality della politica.
Da Santoro, intenti divulgativi e di approfondimento a parte, quel che conta è colpire nel segno, portare a casa la provocazione studiata che fa eco sui giornali, stimolare un movimento di opinione che, al di là dell’intento militante di svegliare il torpore delle coscienze, è votato sin dalle origini al passaparola catodico e alla leadership mediale.
Un tempo c’erano Berlusconi e l’editto di Sofia, oggi abbiamo i Grillo e i Mastella. Senza padrini né padroni, si sberleffa negando favori di ogni sorta con il vanto della integrità etica.
Tuttavia, al di là dell’incorruttibilità politica e della trasversalità critica, il polverone che si solleva sulle sorti della casta come su quelle della televisione è destinato a essere irrisolto e strumentale, come le polemiche sull’Isola dei Famosi o gli aggiornamenti sul giallo di Garlasco.
E quello che rimane nel mattatore dell’one politic show, antesignano del rock-lento di Celentano come trionfatore sull’ibridismo di Giuliano Ferrara, è l’orgoglio di aver fatto la storia delle risse politiche.
Perché se la gente si ricorda di più la gnocca senza testa che il reportage sul degrado ospedaliero, la colpa va anche a Santoro che ci ha abituati male e ci sta di nuovo viziando al clamore della sua imperiosa presenza in tv. Ormai è risaputo che la sua teatralità nel trattare l’attualità costituisca un marchio di fabbrica ampiamente collaudato e con garanzia di successo a lunga scadenza.
Se così non fosse, non si spiegherebbe l’assoluto anonimato su La 7 delle belle inchieste in sordina di Ilaria D’Amico.