La Baronessa di Carini fa ancora un certo effetto
Era una scommessa apparentemente folle, quella di far rivivere a trent’anni dallo sceneggiato cult L’amaro caso della Baronessa di Carini. E invece il grande pubblico di nuova generazione è rimasto nuovamente sensibile al suo fascino. Gli scettici strabuzzeranno gli occhi, i più cinici faranno spallucce, gli snob spareranno a zero sulla possibilità che si possa
Era una scommessa apparentemente folle, quella di far rivivere a trent’anni dallo sceneggiato cult L’amaro caso della Baronessa di Carini. E invece il grande pubblico di nuova generazione è rimasto nuovamente sensibile al suo fascino.
Gli scettici strabuzzeranno gli occhi, i più cinici faranno spallucce, gli snob spareranno a zero sulla possibilità che si possa ancora guardare una roba del genere. Una cosa è certa: la prima puntata di un remake così ambizioso ha superato ogni aspettativa, sia sulla qualità della regia-fotografia che sulla credibilità interpretativa.
In un’epoca in cui non ci spaventa più nulla e il macabro è all’ordine del giorno (basta fare zapping tra Porta e Porta e Matrix), il rischio di incappare in un prodotto grottesco e poco attuale era dietro l’angolo.
Quando lo sceneggiato in questione andava in onda negli anni Settanta, era responsabile dei sonni agitati di gran parte di quelli che non andavano al letto dopo Carosello. Che saranno stati lì, pronti a giudicare, oppure avranno preferito rinunciare, nel rispetto di un mito di culto di trent’anni fa che non avrebbero mai voluto veder riproposto.
E invece gli ascolti hanno rivelato tutt’altra profezia, riuscendo ad ammaliare letteralmente il telespettatore in virtù di un sortilegio narrativo senza tempo.
Ottima prova recitativa quella di Vittoria Puccini, che dopo averci richiamato alla mente – per i primi minuti – la sua Elisa di Rivombrosa, specialmente quella della seconda serie trapiantata nel verace sud, ha saputo dimostrare che oltre alla gote arrossite e alle leziosaggini da gran dama c’è di più.
Accettare nuovamente una fiction in costume, per un’attrice fortemente condizionata dalla retorica del romanzo d’appendice, è stato sicuramente un atto di coraggio, ripagato da un’interpretazione fortemente espressiva e coinvolgente.
Quanto a Luca Argentero, il richiamo mediatico più forte di questa versione rinnovata, va detto che più di una sbavatura c’era nel modo in cui ha reso il suo personaggio. Se “fisicamente” ha dimostrato di entrare perfettamente nella parte, non si può dire lo stesso per le battute, visto che le sue sono state le più ridoppiate in assoluto con effetti poco incisivi di fuori syncro.
Se in più aggiungete che nelle scene clou lo riprendevano quasi sempre di profilo, sottraendolo a primi piani “schiaccianti”, la sua presenza in video è stata spesso dispersiva e non all’altezza della padronanza scenica della partner. Sarà che il ruolo femminile aveva una consistenza drammaturgica predominante, ma in ogni caso a spiccare sulla scena è stata la Puccini (accanto a un altrettanto godibile Buzzanca).
Sottigliezze a parte, la coppia ha comunque convinto sul profilo dell’identificazione emotiva e del romanticismo perché i due erano davvero belli da vedere senza risultare né superbi né pretenziosi.
In fondo, una storia d’amore come questa, contrastata e avvincente al pari di una Tempesta d’amore, rappresenta l’unica valvola di sfogo per ritrovare la purezza dei sentimenti perduti in tv, tra gnocche in calore a caccia di pompieri e tronisti senza scrupoli.
Se la soap e il feuilleton continuano ad avere uno zoccolo duro di aficionados, significa che sono dei generi televisivi da salvaguardare dai pregiudizi e su cui continuare a investire.
Per non smettere di sognare, emozionarsi e, perché no, abbassare la soglia di criticità che ci rende tutti così caustici e cerebrali.