Il decennale… dal flop degli Italiani di Bonolis del 2001
In questa giornata – che segna il trionfo del patriottismo e del revivalismo trionfalistico – mi piace “provocatoriamente” ricordare un decennale emblematico a livello televisivo. E’ bizzarro che i 150 anni dalla nascita dell’Unità d’Italia coincidano anche con il decennale… del flop senza precedenti di Italiani targato Paolo Bonolis.Il golden boy della televisione italiana ha
In questa giornata – che segna il trionfo del patriottismo e del revivalismo trionfalistico – mi piace “provocatoriamente” ricordare un decennale emblematico a livello televisivo. E’ bizzarro che i 150 anni dalla nascita dell’Unità d’Italia coincidano anche con il decennale… del flop senza precedenti di Italiani targato Paolo Bonolis.
Il golden boy della televisione italiana ha firmato, infatti, nel settembre 2001 uno degli insuccessi più clamorosi nella storia Mediaset, forse la sola impietosa battuta d’arresto della sua sfolgorante carriera. Proprio il ricorrente saluto di Bonolis al pubblico, in tutte le sue trasmissioni, divenne il titolo di un ambizioso kolossal, con Paolino eccezionalmente nei panni di pruduttore – oltre che conduttore – della fantomatica “Finale 7” (Federico Moccia era tra gli autori e un ancora emergente Duccio Forzano figurava alla regia).
Il risultato? Cifre agghiaccianti per un sabato sera anche oggi, che ci si trincera dietro l’alibi del digitale e della frammentazione Auditel. Italiani costava 2 miliardi e mezzo a puntata, per riportare minimi storici – nella puntata del 17 novembre 2001 – di 2.404.000 spettatori e il 12,78% di share. Lo stesso debutto riscosse il tiepido consenso di 4.789.000 spettatori e il 21,89%, mentre Torno sabato di Panariello su RaiUno lo surclassava abbondantemente.
E’ bizzarra la legge del contrappasso, che ha visto poi a Sanremo la disfatta di Panariello – con sua relativa fuga dalla tv – e la consacrazione di Bonolis. I due si sono incrociati di recente a Chi ha incastrato Peter Pan?, come se nulla fosse, anche se quel flop a Bonolis non è mai andato giù.
Il suo spin-off di Ciao Darwin del 2011, infatti, fu sospeso alla nona puntata, dopo le tredici previste inizialmente, sostituito da uno speciale di attualità di Mentana ‘Nel centro del mirino’ (lo stesso Mentana poi subentrò a Bonolis a Serie A). In più una serie di gialli e scandali ha contrassegnato la storia della trasmissione, dalla defezione dopo la seconda puntata di Teocoli – che già aveva minacciato il forfait assoluto, non troppo convinto sin dalla vigilia del debutto – alla mancata partecipazione di Valentino.
Il noto stilista si rifiutò di prender parte alla trasmissione dopo la tragedia delle Torri Gemelle, che è stato sicuramente uno dei fattori responsabili dell’inadeguatezza congiunturale di Italiani (oltre che di Tacchi a spillo, altro flop di quell’autunno targato Lippi e Hunziker ma su Italia1).
Italiani fu accusato ancor prima di partire di essere ricettacolo di volgarità e luoghi comuni. Fu, infatti, preceduto da spot demenziali, che rifacevano il verso alle cartoline dell’intervallo Rai degli anni Sessanta-Settanta. Nel promo di lancio, ad esempio, si associava un panorama della ridente Tre Palle alle facce ammiccanti di Paolo Bonolis e Luca Laurenti con l’eloquente scritta ‘Quattro Palle’ , o si facevano altre associazioni con località dai nomi allusivi.
Per il resto il varietà in sè era una formula rivisitata del videobox (ma gli autori indicavano come fonte lo Speaker’s Corner di Hyde Park a Londra), con innesti di vecchi format come Portobello e I cervelloni per le invenzioni e La corrida per la gara di dilettanti. In più, un gioco a premi vedeva novanta concorrenti superare prove di abilità. Su di loro potevano scommettere i telespettatori tramite SMS, per vincere 500 milioni di lire: dovevano indovinare il primo, il secondo e il terzo classificato (la trina).
Vi erano anche collegamenti con tre città italiane, dove chiunque poteva dire quello che voleva, senza alcun filtro e censura: dall’aborto alla formazione sbagliata della Lazio calcio, all’avvistamento di marziani.
In ogni puntata intervenivano vari ospiti, italiani e internazionali, cantanti e giornalisti, mentre a completare il cast erano il fido Luca Laurenti, Gabriella Germani e cinque top model di diverse nazionalità, tra cui l’emergente Moran Atias (sia lei che Bonolis erano ignari che avrebbero entrambi condotto, negli anni a venire, Affari tuoi, rispettivamente nella versione israeliana e italiana).
Morale dell’amarcord? E’ curioso che un programma esempio del made in italy televisivo portato all’estremo, sin dal titolo, abbia costituito un fallimento epocale. Questo dovrebbe farci riflettere oggi, su quanto la tv italiana sia dipendente dal mercato globale dei format almeno per quanto riguarda l’intrattenimento (salvo poche voci fuori dal coro come Antonio Ricci).
Allora il re Mida Bonolis ci provava con un format totalmente autoprodotto, che sembrava un’anticipazione dell’improvvisato e populista d’Urso style. Con la differenza che la sua Stasera che sera, a sua volta divisa tra grida di piazza e opinioni al vento, non aveva un budget stellare come quello sopracitato.
E’ bene ogni tanto ricordare gli insuccessi, specialmente in giornate come queste. Si impara sempre dagli errori, no?