Io, una giudice popolare al Maxiprocesso: la docufiction ed il senso del dovere che fa comunità
La docufiction racconta, per la prima volta, il Maxiprocesso del 1986 dal punto di vista dei giudici popolari
C’è solo una parola che emerge nella visione di una docufiction come Io, una giudice popolare al Maxiprocesso: dovere. Il dovere di accettare l’incarico di giudice popolare, di assistere a centinaia di udienze, di ascoltare testimonianze su atroci delitti. Il dovere di servire lo Stato.
Ma la produzione di Rai Fiction e Stand By Me va oltre la semplice rappresentazione del patriottismo, tutt’altro. Il racconto di quello che hanno dovuto affrontare i giudici popolari del Maxiprocesso serve a sottolineare un senso, che è anche una necessità: quella della comunità di fronte alla lotta contro il Male.
La scelta di Francesco Miccichè e degli autori non è tanto quella di fare divulgazione sul processo e sul suo svolgimento. Come giustamente dice il titolo della docufiction, qui s’indaga lo sforzo enorme di persone comuni, ritrovatesi per caso a dove compiere un dovere necessario per il bene di tutta la comunità.
Ecco, quindi, la scelta di soffermarsi sulle sensazioni di queste persone, ben sintetizzate nell’unico personaggio di Caterina, a cui ha dato volto una brava, dolce e ferma Donatella Finocchiaro. Non mancano i dubbi, non mancano le paure: proprio questo rende questo prodotto ancora più realistico e capace di trasmettere al pubblico una prospettiva inedita sul Maxiprocesso. Girare nei luoghi stessi raccontati, senza ricrearli in studio, ci fa capire come la docufiction possa non solo informare, ma anche emozionare ed aumentare la consapevolezza di una Storia che non sta solo dentro la tv, ma è davvero intorno a noi.
Tramite Caterina -che non a caso lavora come insegnante, intrecciando così da una parte dovere civile e dall’altra istruzione in un’unica figura- la fiction riesce a fondere la documentaristica e la narrazione. Non ci si perde proprio grazie a questo equilibrio. Ecco, equilibrio: Io, una giudice popolare al Maxiprocesso è un prodotto che elogia l’equilibrio, tra Stato, Giustizia ed, appunto, dovere.
La trama della docufiction
E’ conosciuto come il più grande processo penale affrontato al mondo: del Maxiprocesso tenutosi in Sicilia dal 1986 al 1987 conosciamo numerosi dettagli, ma c’è qualcosa che ancora non è stato raccontato come si deve. Un compito di cui si assume carico Io, una giudice popolare al Maxiprocesso, la docufiction che Raiuno manda in onda questa sera, 3 dicembre 2020, alle 21:25.
Quello che propone la docufiction, prodotta da Rai Fiction e da Stand By Me, è raccontare quell’anno e mezzo da cui furono emesse 346 condanne (74 in contumacia), 114 assoluzioni e 19 ergastoli dal punto di vista di una giudice popolare.
Se il Maxiprocesso è infatti passato alla Storia per essere stata la prima volta in cui lo Stato ha messo alla sbarra killer e capi mafia, poco si è detto sul fatto che oltre ai giudici togati ed ai pubblici ministeri c’era anche una giuria popolare, composta da persone comuni la cui vita è stata stravolta.
La docufiction rende omaggio e soprattutto racconta l’impegno di quelle persone, in particolare delle tre giudici popolari Teresa Cerniglia, Maddalena Cucchiara e Francesca Vitale. Tre figure di cui sentiremo le testimonianze e che sono state sintetizzate negli inserti fiction dal personaggio di Caterina, interpretata da Donatella Finocchiaro.
Caterina è un’insegnante di Cefalù, sposata con l’antiquario Salvatore (Francesco Foti) e madre dell’adolescente Luca (Antonio Avella). La sua vita cambia quando viene convocata dal Tribunale di Palermo come giudice popolare al Maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone (Paolo Giangrasso) e Paolo Borsellino (Gaetano Aronica).
Spaventata e titubante, alla fine la donna accetta: deve lasciare il lavoro per recarsi ogni giorno, per un anno e mezzo, nell’aula bunker di Palermo appositamente costruita per accogliere le 349 udienze, durante cui sente testimonianze di centinaia di omicidi di altri mafiosi e di gente comune.
Un compito che le costa anche un cambiamento nella vita privata: l’attività del marito viene presa di mira, il figlio l’accusa di essersi dimenticata della famiglia, senza contare la paura che la prende ogni giorno prima di entrare in Aula. Ma Caterina, sostenuta dai giudici Alfonso Giordano (Nino Frassica) e Pietro Grasso (Pierluigi Corallo) così come da Rita (Manuela Ventura), anche lei giudice popolare con cui stringe amicizia, decide di non mollare.
Marito e figlio capiscono l’importanza di quello che sta facendo la donna e la spronano ad andare avanti: Caterina entrerà così in Camera di Consiglio, durata 35 giorni e da cui, nel dicembre del 1987, saranno stabilite pene pesantissime per gli imputati.
La docufiction ha il soggetto di Simona Ercolani. La sceneggiatura è di Pietro Calderoni ed Ivan Russo, la consulenza storica di Francesco La Licata, lo script editor Filippo Gentili.
Il regista: “L’importanza di girare nei luoghi veri”
A raccontare le intenzioni di questa docufiction è il regista Francesco Miccichè, che si è soffermato in particolare sulla scelta di girare nei luoghi veri del Maxiprocesso:
“E’ stato fondamentale girare nell’Aula Bunker di Palermo (dove come tutti sanno si è svolto il processo), nel luogo dove era la vera ‘camera della morte’ (dove sono avvenuti molti omicidi di mafia di quel periodo), e parecchie scene a Cefalù (splendida cittadina da dove venivano tre dei giudici popolari).”
Il regista ricorda e ringrazia anche tutti coloro che hanno portato davanti alla macchina da presa la loro testimonianza: oltre alle signore Vitale, Cerniglia e Cucchiara, anche il giornalista Mario Lombardo, venuto a mancare pochi mesi dopo le riprese. Una testimonianza, la loro, “fondamentale per ricostruire i fatti, ma anche per dare concretezza e realismo a questo progetto”. Oltre a loro, la docufiction riporta anche le dichiarazioni del pubblico ministero Giuseppe Ayala, del Presidente della Corte Alfonso Giordano e del giudice a latere Pietro Grasso.
Miccichè ricordando le settimane di riprese, rivolge anche un pensiero ai siciliani impegnati sul set, che hanno partecipato “con passione e impegno”:
“Ecco questa è quella parte di società siciliana che, esattamente come i giudici popolari del Maxiprocesso, continua ancora oggi la lotta a Cosa nostra. Perché non va dimenticato che allora fu inferto un duro colpo alla violenta mafia dei Corleonesi, ma ancora oggi, in altre forme e in altri modi, la mafia esiste, ha solo trovato forme diverse di esercitare la propria pressione sulla Sicilia e sul Paese.”
Io, una giudice popolare al Maxiprocesso, streaming
E’ possibile vedere Io, una giudice popolare al maxiprocesso in streaming sul sito ufficiale della Rai e sull’app per smart tv, tablet e smartphone, mentre da domani si potrà vedere nella sezione Guida Tv/Replay.