Il vero Festival di Sanremo
(questo post è anche un video, per Teleblogo e per sanremo.splinder.com). Le labbra dell’ultima chiacchiera si chiudono e lasciano spazio alla sigla dell’eurovisione. Ecco come finisce la penultima serata del Festival di Sanremo, si scoprono i vincitori che la Gialappa’s – e internet con loro – annuncia un’ora abbondante prima dell’ultima proclamazione, e poi via
(questo post è anche un video, per Teleblogo e per sanremo.splinder.com).
Le labbra dell’ultima chiacchiera si chiudono e lasciano spazio alla sigla dell’eurovisione. Ecco come finisce la penultima serata del Festival di Sanremo, si scoprono i vincitori che la Gialappa’s – e internet con loro – annuncia un’ora abbondante prima dell’ultima proclamazione, e poi via verso la finale. E’ un festival sotto tono, non c’è dubbio, è un festival che non ha il sapore del grande evento, anche se – non mi stancherò mai di dirlo – ha tutti i numeri per essere un grande evento, almeno in partenza.
E che poi invece non dice molto musicalmente (come al solito, poi qualche bella canzone si scoprirà al secondo ascolto e senza gli arrangiamenti orchestrali), che dice ancora meno dal punto di vista dello spettacolo e della comicità.
E’ l’ennesima occasione mancata per trasformare il possibile in concreto.
Magari gli ascolti indicano che il pubblico non è più quello di una volta, che la musica italiana non va, che gli artisti non funzionano. Magari.
Ma poi i lavoratori si riversano per le strade di Sanremo, e si mescolano alle persone, alla gente, diventiamo tutti gente e persone. Una capatina al Morgana, dove di solito si annidano i vip, dice poco. Dance, tette, culi, ombelichi che si dimenano, sudore e odore di alcol. Via.
Si arriva al Big Ben, allora. Ed eccola la sorpresa. Alex Britti e Max Gazzé che suonano, senza preavviso, così, come se niente fosse.
Improvvisano, su tutto. La gente, quello stesso pubblico che in teoria non sarebbe interessato alla musica, si accalca, spinge, sgomita per vederli: è un festival di telefonini che si accendono per filmare, macchine fotografiche e poi – per ultime, ovvio – le telecamere dei network.
La session esplode, va avanti fino a notte inoltrata mentre a ballare si radunano anche quelle poche anime in cerca di un briciolo di notorietà: i sosia, per esempio, che girano sempre tutti insieme nella speranza di essere notati. I reduci del Grande Fratello, per esempio, che trovano sempre qualcuno pronto a chieder loro foto e autografo.
Ma la musica avanza e trionfa, il groove è trascinante, il blues tracima per le strade, Britti è in forma straordinaria, e alla fine arrivano anche loro: Nicky Nicolai e Stefano Di Battista, coppia d’arte e di vita, lei con la sua voce calda, lui con il suo sax. I quattro suonano e si divertono, e si vede che finalmente si divertono. Cosa che – spero l’abbiate notato anche voi – non capita al festival, quello ufficiale. Ma anche questo breve racconto è festival. La gente balla sui tavoli, sui muretti, nel locale, per strada. E la musica trionfa, calda come quelle labbra che si muovono e, finalmente, cantano per il gusto di farlo, per godere della loro arte e far godere noi che l’ascoltiamo.
Allora il lavoratore, aiutato da qualche cuba libre, si chiede perché non si possa mostrare quel Festival lì, perché il palco dell’Ariston non voglia fare questa rivoluzione e tirar fuori le palle e la musica dalle labbra dei suoi cantanti.