Il tredicesimo apostolo – La rivelazione supera Mistero in serietà. Ma coi casi di puntata si perde a favore del pubblico tradizionale
Il tredicesimo apostolo-La rivelazione riesce ad essere una fiction ancora capace di portare in tv argomenti diversi, ma il ritmo scende nei casi di puntata
L’impianto de “Il tredicesimo apostolo-La rivelazione” non cambia rispetto alla prima stagione: c’è un caso di puntata, Gabriel (Claudio Gioè) che, aiutato da Claudia (Claudia Pandolfi) ed Isaia (Stefano Pesce) indaga, fino alla risuoluzione, che porta a chiudere il caso ma anche a rilanciare la minaccia di Serventi (Tommaso Ragno) e la profezia sul protagonista.
Una formula che ha segnato il successo della prima stagione, e che prova in questi episodi a bissare la popolarità della fiction portando qualche modifica, come un uso maggiore di effetti speciali -che, però, nei primi due episodi non sono stati così centrali: quelli di cui ci hanno parlato Mizio Curzio ed Andrea Nobile devono ancora arrivare- ed una maggiore attenzione a casi di cui si sente spesso parlare sui giornali misti a temi più noti agli appassionati del genere fantasy.
Mandare in onda “Il tredicesimo apostolo” nelle stesse settimane in cui Italia 1 trasmette “Mistero” potrebbe servire a fare un paragone tra due diversi modi di raccontare il paranormale: da una parte, c’è la fiction, che per natura inventa racconti e cerca di stupire il pubblico lasciandolo con una suspence necessaria per fargli seguire la puntata successiva. Dall’altra c’è una trasmissione che gioca con i fatti di attualità, spingendosi ai limiti del necessariamente misterioso per portare a casa la puntata, rischiando così la parodia invece che l’approfondimento.
“Il tredicesimo apostolo” è consapevole di essere fiction, e su questo basa la costruzione di un racconto che aspira ad essere diverso rispetto al resto della serialità italiana. L’ambizione premia la serie, che riesce ad allontanarsi dal resto del genere ed ad essere, per quanto possa piacere o no, un elemento di sperimentazione.
Ad un pregio come questo, però, corrisponde un difetto, più evidente rispetto alla prima stagione, dove spiccava la novità dei temi. “Il tredicesimo apostolo” risente della messa in onda generalista, rallentando il ritmo del racconto a favore di una maggiore semplicità con cui spiegare a quel pubblico poco abituato a questo genere di ficiton le intenzioni degli autori, che restano quelle di portare in tv una Chiesa diversa, cupa e vicina ai misteri di tanti libri usciti negli ultimi anni.
Ecco, allora, che la sceneggiatura, di fronte ad una scelta di voler approfondire meglio i personaggi, deve per forza rallentare nel caso di puntata, rendendo la storia più facile da seguire. Gabriel e Claudia accompagnano il pubblico nei casi ed all’interno della storyline principale con la serietà di un racconto che sa di poter tenere incollati al piccolo schermo anche il pubblico che non ama le fiction, ma anche con la preoccupazione che chi non potrebbe capire il senso della fiction resti a seguirla ed a comprenderla. Il meglio della serie tv sta proprio quando il caso di puntata si chiude, e si lascia spazio alla trama orizzonatale: la fine del secondo episodio, per quanto scontato fosse il colpo di scena finale, permette però di vedere un ritmo più veloce e maggiore tensione rispetto al resto della puntata andata in onda.
Il tentativo di unire le due anime, quella più ribelle e quella più classica della fiction italiana, rendono “Il tredicesimo apostolo-La rivelazione” una fiction sempre al di sopra della media delle altre produzioni, ma ancora bloccata da un timore di non essere capita da tutti. Questo timore ferma spesso la serialità italiana, portando in tv fiction che di moderno hanno poco. “Il tredicesimo apostolo” ha la consapevolezza di poter puntare ad essere spregiudicata e riuscire a fare bene: la sua potenzialità dovrebbe essere sfruttata al meglio per poter diventare apripista di numerose altre fiction.
Il tredicesimo apostolo-La rivelazione