IL REALISMO OMICIDA- Ricordate “Il segno del comando” ?
Nella sala 9 dell’Adriano, occupato nelle altre sale dalle proiezioni del Fiction Fest di Roma, si è volato alto. Ed è stato denunciato il realismo omicida. Si è volato alto perchè la sala 9 è collocata in pratica a contatto con il cielo, per arrivarci si fa un’arrampicata lunga, distribuita fra sentieri di scale meccaniche.
Nella sala 9 dell’Adriano, occupato nelle altre sale dalle proiezioni del Fiction Fest di Roma, si è volato alto. Ed è stato denunciato il realismo omicida. Si è volato alto perchè la sala 9 è collocata in pratica a contatto con il cielo, per arrivarci si fa un’arrampicata lunga, distribuita fra sentieri di scale meccaniche. Una cima, una vetta. Lì, davanti a un pubblico di alpinisti, coordinati da Claudio Depasqualis (attore e conduttore nel cast di “Hollywood Party”), si è parlato di una vetta d’antan,esattamente del 1971, trentanove anni fa, lo sceneggiato “Il segno del comando”.
Claudio mi ha fatto sedere fra Ugo Pagliai, il protagonista, e una delle attrici, Paola Tedesco; e mi ha affidato il microfono per organizzare la conversazione su un programma televisivo che era in cinque puntate, raccolse oltre quattordici milioni di spettatori, e soprattutto costituì una novità assoluta.
Scritto da molte mani fra soggetto e sceneggiatura (Flaminio Bollini, Dante Guardamagna, Giuseppe D’Agate e Lucio Mandarà), diretto da Daniele D’Anza, “Il segno del comando” arrivava sul video dopo i classici romanzi italiani, russi, inglesi e francesi: una intera biblioteca messa in immagini; dopo i primi passi in tv del cinema con “Odissea” ed “Eneide” di Franco Rossi; dopo il successo clamoroso di sei anni prima di uno sceneggiato francese “Belfagor” con Juliette Greco, che colpì per le sue fosche e avvolgenti trame nel Louvre.
Pagliai e la Tedesco hanno raccontato episodi della lavorazione e soprattutto l’emozione di partecipare a uno sceneggiato diverso, ossia realizzato tra studi tv ed esterni, in particolare in una Trastevere completamente sgombra di auto. Non fu un miracolo. Pagliai ha spiegato che una squadra di nerboruti manovali accatastava le auto da qualche parte, su ordine del regista. La Tedesco, allora giovanissima, ha raccontato le sorprese per lei e gli altri interpreti costituite da un copione complesso, intrigante, seminato di trappole fra storie antiche e fantasmi, tra esoterismo e incubi, in mezzo a Roma restituita alla leggenda delle sue rovine e della sua rovinosa, affascinante civiltà.
Detto questo- anche se sarebbe utile diffondersi sull’argomento-vado al solo della osservazione su cui già avevo rimuginato, rivedendo alcune puntate dello sceneggiato-quasi-film.
Questa: “Il segno del comando” è uno dei pochi esempi di lavori televisivi, cioè prodotti dalla Rai, in cui si intrecciano fantasia, creatività sapiente come in un giallo storico moderno, attenzione meticolosa e ben costruite nel seminare piste, lasciarle e poi riprenderle, sorprendere con continui colpi di scena.
Certo, si può trovare, di fronte alle immagini tremolanti di un vecchio bianco e nero d’archelogia, poco o molto che non va o che si rivela superato, a seconda dei gusti. Ciò non toglie un fatto specifico. Qualcosa che favorisce un confronto tra la fiction di oggi e un esemplare sopravvissuto a stento nelle teche della Rai.
Oggi la fiction, nella stragrande maggioranza dei casi, finisce sempre tra le braccia omicide di un realismo che tutto livella, sminuisce, rende mediocre. Tutto deve essere evidente, leggero o comunque non faticoso, senza labirinti, senza capacità di suscitare stupore e trascinare con se l’interesse spasmodico dello spettatore invitato a un banchetto di emozioni.
Morale dell’ascesa alla sala 9. “Il segno del comando” coinvolge perchè sa interpretare le attese del pubblico, anzi le sa svegliare, le cerca, le individua, le soddisfa. Invece. Le fiction di oggi, tranne poche eccezioni, sono piatte sia se mostrano sangue, droga, sesso (poco poco), sia si buttano a corpo morto nel lago da suicidi degli amori e degli innamoramenti. Le storie e i personaggi sono massacrati dalla ripetività, e dal senso complessivo di inutilità. Falso realismo.
“Il segno del comando” è un’arca di brividi, in uno stile d’epoca.
Le fiction sono l’ovvio e le loro proposte di brividi non fanno neanche il solletico. Perchè i capi della fiction pensano al vicolo cieco in cui si trovano e conducono gli amati-odiati spettatori?
Italo Moscati