Il Premio Tv 2014 e lo scollamento dalla realtà: le rendite di posizione da difendere anche con la negazione
Il premio si dimentica tutto ciò che non è “usato garantito”.
Il Premio Tv 2014 mi ricorda in qualche modo l’Italia che benpensa. L’Italia dei tecnici, dei governi d’emergenza o di rottamazione. Mi ricorda l’Italia deteriore della grande bellezza, quella che vive nelle terrazze romane, nei party milanesi, quella completamente slegata dalla realtà.
Mi ricorda le conventicole, i circoli chiusi, i club riservati; mi ricorda le tessere di partito e le lottizzazioni; mi ricorda l’immobilismo sociale, mi ricorda che se non sei qualcuno devi sgomitare per arrivarci e poi devi sempre guardarti le spalle, se non vuoi diventare un “qualcuno” da salotto.
Mi ricorda l’autodifesa a catenaccio della stampa mainstream che teme l’invasione del web (e poi la sfrutta per abbassar le paghe di giornalisti e collaboratore). Mi ricorda le rendite di posizione e la lotta di classe al contrario, quella teorizzata da Luciano Gallino, quella della classe dei “vincenti” che si adoperano perché i “perdenti” non possano tentare alcuna scalata sociale: guai!
Perché mi ricorda tutte queste cose? Perché il Premio Tv con le sue nomination è impostato come se il digitale terrestre e Sky non esistessero. Una follia, considerata la frammentazione degli ascolti che mostra come il pubblico continui la transumanza verso altri lidi e altre scelte televisive; una follia, considerati programmi di successo come X Factor, Masterchef – anche se perdonare a Masterchef il suicidio e l’autodistruzione della diretta finale è difficile. Ma questa è critica, magari al Premio Tv si arrivasse a parlare di questo –, Bake Off Italia.
Una follia considerati anche i nomi dei programmi finalisti: vi si trovano scelte di dubbio gusto, programmi storici non più premiati dal pubblico – e francamente sempre uguali a loro stessi – addirittura flop. La7 è riuscita a ritagliarsi la sua quota-parte di nomination (tre), il resto esiste solo per Sky Tg 24. Ma Fiorello – che la Rai vorrebbe tanto a Sanremo – si merita un posto come “Miglior programma web”, così, giusto per premiarlo.
Ma non basta: la cosa più assurda è che manchino anche sguardi attenti a quel poco di sperimentazione e di novità che la generalista stessa offre (pensiamo ad esempio a Gazebo, a Undercover Boss, a Sconosciuti, per dire) per rimanere sull’usato garantito (e stantio) che si guarda l’ombelico e si autocelebra.
Ancora una volta, la Rai, i “premi”, la “televisione mainstream” in generale, si mostrano inadeguati a raccontare la realtà: la difesa a oltranza delle rendite di posizione, anche a costo di negare o eclissare l’esistenza dell’altro, rasenta il ridicolo.